Storia del Corinthians, dalle origini ai giorni nostri.
Il Corinthians è una delle tante squadre del panorama calcistico brasiliano: fondata nel 1910 da un gruppo di operai di Sao Paulo, nella zona di Tatuapé, con lo scopo di diffondere il gioco del Futebol nelle classe poco abbienti, in bacheca conta sei Brasilerao, tre Coppe nazionali, una Copa Libertadores e due Mondiali per club. Dopo il Flamengo (anch’esso di San Paolo) è la squadra con più tifosi. Il Timão (il suo soprannome, la grande squadra) è la squadra che ha vinto più titoli Paulista con ben ventotto successi. I bianconeri hanno dato molti giocatori al successo mondiale: da Rivelino a Wladimir, da Biro Biro a Paulinho, a Dida a Rivaldo. Molti giocatori che poi hanno fatto furore in Europa sono passati dalle parti della squadra del “moschettiere”. Eppure il giocatore iconico del Corinthians per antonomasia non è stato nessuno dei precedenti, ma un giocatore sui generis. Un centrocampista che ha scritto pagine importanti di calcio e che usava il tacco come parte integrante del suo gioco. Mettiamoci che era alto, magro, riccioluto e barbuto e che aveva un nome filosofico, nonché laureato in medicina ed impegnato “a sinistra”: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira , ai più noti come Sócrates. Con la maglia del Timão, Sócrates vinse tre Paulista ed il titolo di miglior giocatore sudamericano dell’anno, nel 1983, succedendo ad un altro fenomeno come Zico.
Lo spazio “Football Legend” di questa settimana è dedicato proprio alla squadra brasiliana del Corinthians, fautrice della Democracia corinthiana.
Il barbuto Sócrates, soprannominato “O Doutor da bola”, “il dottore del pallone”, è stato il deus ex machina di un movimento politico calcistico mai fino a quel momento attuato. Eh sì, perché nel 1981 lui ed il Timão fecero una cosa mai fatta nel mondo del calcio prima ad allora: l’autogestione del calcio, dove a decidere le sorti della squadra non vi era un presidente o un allenatore o una terza persona ma la stessa squadra. La rivoluzione istituita dal club bianconero è passata alla storia con il nome di Democracia corinthiana, la democrazia corinthiana, la democrazia del Corinthians..
Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna fare un salto alla giovinezza del padre del giocatore, Raimundo. Nato in Amazzonia, non aveva avuto la possibilità di studiare, ma capì che nella sua vita se voleva svoltare doveva studiare ed iniziò a farlo da autodidatta. Nonostante fosse poco alfabetizzato, Raimundo scoprì la passione per i classici greci. Ebbe sei figli maschi e tre di loro ebbero nomi (brasilianizzati) di filosofi: Sócrates, Sóstenes e Sófocles.
Obbligò i figli a studiare perché chi non studiava era condannato ad essere schiavo per tutta la vita. Il giovane Sócrates si mise a studiare di buona lega e si iscrisse perfino a medicina, ma non voleva distogliersi dalla passione per il calcio, in Brasile considerato una sorta di religione. Sócrates, come il padre, legge, si accultura, si informa e proprio il tanto studio lo forgerà personalmente.
Fisicamente era alto, capelli ricci, barba e piedi di un certo spessore. O meglio, un colpo di tacco di un certo spessore. E’ un tifoso del Santos e, come tanti suoi coetanei, aveva un idolo: Edson Arantes do Nascimento detto Pelé. A vent’anni decise di fare sul serio ed approdò al Botafogo di Ribeirão Preto, la squadra della città dove si era trasferito da Belem per il nuovo lavoro del padre: in pratica era nato a Bolzano e si era trasferito a Messina.
Calcisticamente Sócrates era un centrocampista centrale molto intelligente tatticamente e dotato di tecnica elevata, nel 1976 capocannoniere del Paulistao e nel 1978, grazie al suo talento si spostò a San Paolo dove venne tesserato per il Corinthians, la squadra del popolino della città. E lì scrisse la storia.
Dal punto di vista storico, invece, il Brasile di quegli anni era un regime dittatoriale da quattordici anni con la presa del potere, il 31 marzo 1964, dei militari con un golpe.
La politica capì che il calcio in Brasile era una religione e cercò di “tenerselo buono” per acquietare la popolazione. Si creò un legame stretto, ma poco limpido con il futebol, tanto che le squadre brasiliane erano guidate da Presidenti molto vicini alle gerarchie militari e tutte le squadre erano dei piccoli regimi autoritari: il ritiro pre-partita non era visto come un di più, ma un qualcosa di necessario non solo dal punto di vista sportivo, ma anche politico.
Il Corinthians non era estraneo a queste cose e anche lui subì l’onda della dittatura. Nonostante il grande seguito, la squadra bianconera non riusciva ad imporsi e la tifoseria voleva farsi valere nel calcio brasiliano. I tifosi rimasero molto delusi dall’approccio iniziale di Sócrates, tanto da volerne la cessione visto come un calciatore “strambo”: medico, divoratore di libri, look un po’ particolare, poco incline all’impegno. Nel 1980 Sócrates voleva lasciare la squadra, ma decise di rimanere. Non ci fu scelta migliore, con il senno di poi.
Nel 1981 terminava il mandato del presidente del club Vicente Matheus ed il timone della società passò a Waldemar Pires. Prima di allora, i presidenti erano “catapultati” dal governo sulle poltrone dei club di calcio, capendo (da buoni regimi dittatoriali) che il calcio era un ottimo motivo di propaganda. Pires era un progressista, il primo dopo anni di presidenti conservatori. Il passaggio di consegne fu dovuto anche al fatto che molti calciatori della squadra furono eletti nel consiglio della società (tra cui lo stesso “dottore”) e Matheus capì che aveva tutti contro.
Pires fece una cosa che nessuno in Brasile aveva mai fatto: dare ad un sociologo acalcistico il ruolo di direttore generale. Una follia? No, una cosa rivoluzionaria. E i due capirono la situazione: la squadra aveva in mente una cosa nuova, appunto rivoluzionaria. Cosa? Autogestirsi. Eh sì, in un Paese guidato da una destra reazionaria, dove tutto era gerarchico e lontano anni luce dal concetto di “democrazia”, Sócrates, Casagrande, Gomes, Zé Maria, Wladimir e soci presero, di concerto con la dirigenza, la via del fare da sé: nasceva la Democracia corinthiana, un qualcosa allora impensabile e ancora oggi irrealizzabile.
Cosa significava “democrazia corinthiana”? Semplice: il Timão era diventato come uno Stato dove è il popolo a decidere come farlo funzionare. Il popolo erano i calciatori stessi e come farlo funzionare era invece l’insieme di decisioni prese a maggioranza, come in una qualsiasi democrazia (solo che in Brasile non c’era da tempo). Tutti avevano diritto di voto e obbligo di voto, compresi i magazzinieri: non contava il ruolo ricoperto in società, contava il fatto che chiunque potesse esprimere il suo diritto voto come tutti gli altri. L’aula del “Parlamento corinthiano” era lo spogliatoio.
Si metteva ai voti tutto: dalla decisione o meno di fare i ritiri agli orari degli allenamenti, dalle campagne acquisti a quale modulo di gioco utilizzare, dai soldi da investire alla distribuzione dei profitti, dagli ingaggi ai premi partita. A smuovere le masse ci pensò anche lo “sponsor” della squadra:Democracia corinthiana. Chiaro, semplice, inconfondibile.
I giocatori del Corinthians erano dell’idea che i giocatori brasiliani, di qualunque squadra, visto che erano degli idoli, avevano il diritto ed il dovere di dire la propria contro il regime, non come fece la Nazionale del 1970 che poteva ribellarsi ma che invece non lo fece, dato che quegli anni erano quelli più duri per il popolo anche se la dittatura fu definita “all’acqua di rose”. Acqua di rose o meno, era sempre una dittatura che praticava arresti, rapimenti e violenze contro gli oppositori.
La Democracia corinthiana durò quattro stagioni ed il club nel mentre vinse due Paulista consecutivi (1982 e 1983) e fu finalista perdente nel 1984. Sócrates nel 1983 fu eletto miglior giocatore sudamericano dell’anno, succedendo al compagno di Nazionale Zico.
Due momenti iconici dell’avventura della Democrazia corinthiana: il 15 aprile 1982 in Brasile si votò per la prima volta per le elezioni comunali e regionali e il Corinthians scese in quel periodo con la scritta “il 15 vota” (“dia 15 vote”), per esortare i brasiliani a recarsi alle urne a votare; il 14 dicembre 1983 prima della finale contro il Santos entrò in campo con lo striscione “vincere o perdere ma con democrazia”, vincere o perdere non erano una cosa importante, ma un dettaglio.
La Democracia corinthiana divenne un mito per tutti gli intellettuali e gli oppositori del regime: Caetano Veloso, Lula, Gilberto Gil, Elis Regina Furaçao, Chico Buarque, Fagner, Rita Lee, Toquinho, Ney Matogrosso e tutta l’intellighenzia musicale e culturale simpatizzava con i “rivoluzionari” in maglia a righe strette bianconere. Anche il settore dello stadio Pacaembu divenne un centro politico, dove gli stessi tifosi del Timao supportavano il credo della “democrazia” e la volontà che si potesse tornare a votare liberamente in Brasile.
La dittatura non era molto dell’idea di appoggiare la Democracia corinthiana, ma non si poteva arrestare il capitano del Timão e della Nazionale: sarebbe stato controproducente per il regime e Sócrates era un baluardo.
Il 16 aprile 1984 un milione e mezzo di brasiliani sfilò per le vie di San Paolo per chiedere il ritorno della democrazia dopo venti anni. Sócrates e il Corinthians furono in prima fila e il giocatore riuscì a portare la Democracia corinthiana fuori dallo spogliatoio, in strada, nelle vie del Paese. Sócrates disse che se l’emendamento non fosse passato, avrebbe lasciato il Paese.
Nel 1984, come detto, la Democracia corinthiana terminò con la partenza dei due giocatori simbolo (Sócrates e Casagrande) verso l’Europa: Fiorentina per uno, San Paolo (e poi Ascoli per l’altro, con un’altra toccata e fuga con il Timao). A contribuire alla caduta della “Democracia”, fu l’elezione di Roberto Pasqual alla presidenza. Uomo inviso alla Democracia corinthiana e vicino al governo del presidente João Figueiredo, Pasqual si trovò una società sana e con i conti in regola dopo tanti anni. Frutto della rivoluzione.
“Come mai i due elementi cardine del progetto rivoluzionario lasciarono il progetto” Il parlamento brasiliano non votò l’emendamento di Dante de Oliveira per far tornare la democrazia nel paese e l’elezione diretta del Presidente.
Il “dottore” nell’estate 1984 divenne un giocatore della Fiorentina, militando nella nostra Serie A dove già c’erano molti giocatori del super Brasile di Spagna 1982 (Falcao, Dirceu, Cerezo, Júnior, Zico, Edinho, Pedrinho, João Batista). Rimase un anno, fece male, ma si consolò con la lettura in lingua originale dei “Quaderni dal carcere” di Gramsci: era l’Italia del Pentapartito e Socrates, politicamente, era un pesce fuor d’acqua.
Sulla “Democracia” è stato scritto e detto molto e ancora oggi è un fulgido esempio di democrazia e rispetto delle idee di tutti. Giuste o errate che siano.
Sócrates chiuse la carriera nel 1989 dopo aver indossato le maglie di Flamengo e Santos, salvo poi tornare a giocare nel 2004 con i dilettanti inglesi del Garforth Town, giusto per fare una partita e festeggiare i suoi 50 anni. Nel 1989 si ritirò proprio nell’anno in cui il Brasile tornò a votare.
Dopo il ritiro dal calcio era tornato a fare il medico in un ospedale brasiliano di frontiera, pronto ad aiutare tutti i bisognosi, ricchi o poveri che fossero. E tutti volevano essere visitati da “O Dotour da bola”, l’uomo che dava del tu al calcio e alla politica.
Sócrates morì domenica 4 dicembre 2011 e quel pomeriggio, pareggiando 0-0 contro il Palmeiras e grazie al pareggio tra Vasco da Gama e Flamengo, il Timão vinse il suo quinto titolo brasiliano: 28 anni prima, lo stesso “dottore” aveva detto che gli sarebbe piaciuto morire di domenica, con il sole, durante una partita del Corinthians con il titolo di campione nazionale.
Prima della partita, nel minuto di raccoglimento tutto lo stadio (40mila persone) si alzarono in piedi ed alzarono il pugno chiuso destro in onore del suo grande Sócrates, l’uomo a metà tra la rivoluzione e l’utopia che ha vissuto la vita tra futebol e politica, regalando un sogno ad un Paese che aveva bisogno di tornare grande.