Baci, tradimenti e bandiere mancate

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C’erano una volta le bandiere…

Per “bandiera” si intende quel giocatore (o sportivo che milita in una squadra anche non calcistica) che ha deciso di giocare in una squadra per la totalità della propria carriera, rinunciando a platee più ampie, fiumi di denaro e successi. Un giocatore di questo tipo non può che essere amato dalla tifoseria di riferimento, soprattutto se la propria squadra va male e retrocede in una serie inferiore. Gli esempi si sprecano: da Baresi-Maldini-Costacurta a Bellini, da Totti a Zanetti a Del Piero, Buffon e Nedved che hanno seguito la Juventus fino in Serie B (oltre a Camoranesi e Trezeguet), fino a De Rossi o negli anni passati Scirea, Conti, Rivera, Mazzola e Riva. L’elenco potrebbe diventare lungo, molto lungo.

Questa è stata la settimana in cui si è capito che il termine “bandiera” non ha più nulla a che fare con il calcio moderno. In queste ultime tre settimane abbiamo capito che bandiere come Totti non ce ne saranno più e che Gianluigi Donnarumma non sarà mai una bandiera del Milan.

Questa è stata la settimana della rinuncia di “Gigio” Donnarumma, 18 anni da quattro mesi scarsi, a diventare la nuova bandiera rossonera, rifiutando un ingaggio monstre per uno della sua età ed avere anche la fascia di capitano. Il portiere classe ’99 ha rifiutato il rinnovo e dal 1° luglio 2018 sarà libero di accasarsi dove vorrà a parametro zero. Nel mentre, se la telenovela non avrà un happy ending, il numero 99 rossonero rischia di essere messo da parte dal club meneghino e farsi tutta la stagione in tribuna, perdendo anche la convocazione per i Mondiali di Russia. Va bene che ha l’età totalmente dalla sua parte, ma meglio andare ad un Mondiale che stare a casa e vederlo sul divano di casa dopo aver fatto la muffa in tribuna tutto l’anno.

Il mondo calcistico da giovedì non ha parlato d’altro, con commenti sprezzanti contro il portiere di Castellammare di Stabia ed il suo entourage (leggasi Mino Raiola), accusandolo di essere un mercenario nonostante abbia appena 18 anni. Con il nostro calcio che già si pregustava il giusto passaggio di consegne in Nazionale tra lui e un altro Gianluigi che per amore verso la Juventus è sceso in cadetteria da Campione del Mondo e che inizierà la sua diciassettesima stagione consecutiva con la maglia bianconera. Stiamo parlando di Buffon, a oggi il giocatore della nostra massima serie a giocare ininterrottamente nella stessa squadra da più tempi. E proprio il portierone azzurro è l’ultimo caso di bandiera del calcio nostrano. Un calcio che sta vivendo ora una trasformazione ormai inesorabile: addio bandiere, meglio girare più squadre magari facendosi amare su più piazze ed odiare da quelle in cui è iniziato il giro.

Tutti a dire: calciatori traditori, mercenari, insensibili. Nulla di male a pensarlo, ma solo se il giocatore lascia la nostra squadra perché se tifassimo la squadra in cui il campione andrà a giocare non diremmo lo stesso. Anzi.

Un esempio è il caso Ibrahimovic: professionista dal 1999 (anno di nascita di Donnarumma), in 18 anni da “pro” ha giocato in otto squadre diverse, dando il meglio di sé ogni stagione. Lo svedese è da sempre considerato il prototipo del giocatore mercenario, eppure ovunque è andato è riuscito a farsi amare per le prestazioni e i gol, nonostante ad inizio stagione avesse (quasi) sempre detto che da bambino tifava per la squadra in cui veniva presentato.

Il calcio è cambiato, solo le regole sono rimaste invariate. Fatto sta che fa specie che un ragazzo che può votare solo da quattro mesi abbia rifiutato di diventare una bandiera di un club che nella sua ultracentenaria storia ha avuto tantissime bandiere. Si dice che Donnarumma andrà alla Juventus, al Real Madrid o al Paris Saint Germain. Per la gioia del suo procuratore, che è lo stesso di Ibrahimovic, ovvero Mino Raiola.

E proprio questo è il grande problema per molti tifosi: il procuratore, colui che rappresenta il calciatore nelle trattative e che le condiziona con i suoi capricci. Una figura ingombrante ma necessaria, amata ed odiata: amata se riesce a portare il suo assistito-campione nella squadra per cui uno tifa, odiata se il suo assistito cambia squadra per un ingaggio da capogiro e un prezzo di cartellino pari al Pil annuo di molti Stati del Mondo per andare in un’altra squadra, magari acerrima rivale.

Eppure il caso Donnarumma, ultimo della serie delle bandiere mancate, ha davvero spaccato l’opinione pubblica e sono in pochi a sostenere che il portiere abbia fatto bene. Peccato che abbia da poco 18 anni ed è già stato bollato da tutti con l’epiteto di ingrato verso una squadra che per una serie di condizioni favorevoli (perché in condizioni favorevoli Donnarumma è riuscito a debuttare in Serie A a 16 anni). Avrà tutto il tempo per diventare la bandiera di un’altra squadra, se vorrà.

That’s football, bellezza. Purtroppo. E non ci sono baci sulla maglia che tengono.