Che bello questo Belgio

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Si può ancora parlare del Belgio come una Nazionale rivelazione ogni volta che disputa una manifestazione internazionale? Fino all’inizio di questo Mondiale forse, ma dopo la vittoria per 2-1 di venerdì sera contro il Brasile di Neymar, possiamo dire una cosa: questo Belgio si candida come finalista del Lužniki il prossimo 15 luglio. Dovrà ora superare l’ostacolo Francia in semifinale, ma per i Diavoli rossi male che terminerà la kermesse iridata si piazzeranno al quarto posto, come a Messico ’86 e ancora oggi miglior risultato mondiale in tredici partecipazioni.

Un Belgio da impazzire

Ma la “generazione di fenomeni” allenata prima da Marc Wilmots e poi da Roberto Martínez non si nasconde più: per la vittoria finale ci sarà da fare i conti anche con lei, una Selezione tra le più belle ed entusiasmanti del panorama calcistico mondiale di questi ultimi anni.

Vittoriosi tre volte su tre nella fase a gironi, Hazard e compagni hanno sofferto contro un tostissimo Giappone negli ottavi di finale, ma alla fine la Squadra è venuta fuori: individualità eccellenti, bel gioco, un pizzico di fortuna e quelle ripartenze che hanno piegato prima i nipponici (vedere l’azione che ha portato al gol del 3-2 finale di Chadli) e poi i brasiliani nei quarti.

Il match, attesissimo, della Kazan Arena tra i verdeoro e i rossi europei ha rivelato il fatto che il Belgio ha i ricambi giusti nei posti giusti (leggasi Chadli e Fellaini titolari al posto di Mertens e Ferreira Carrasco), ha la grinta giusta (dal 0-2 al 3-2 contro il Giappone in quarantadue minuti e la vittoria contro il Brasile con il vantaggio di 2-0 nel primo tempo e cercando nella ripresa di tenere il risultato e piazzare il colpo del ko), gioca bene e fluidamente. Contro il Brasile, il Belgio ha dimostrato di essere una squadra ben messa in campo, con individualità mostruose (vedere la prova di Hazard e Courtois) e con la consapevolezza del “ragazzi, ora o mai più: puntiamo a Mosca senza se e senza ma”.

Del resto, la Federcalcio belga ha fatto un vero miracolo tattico-tecnico tra il 2002 e oggi: in sedici anni, la Nazionale belga è passata dalla posizione numero 71 del ranking FIFA alla attuale numero 3 con l’apice, senza non aver mai vinto Mondiali o Europei, di essere stata al primo posto quattro anni fa.

L’inizio degli anni Duemila sono stati un vero disastro per il calcio belga ed i vertici federali capirono che per risalire la china, e cercare di guadagnare “peso” nel panorama calcistico, era necessario tracciare una linea netta e ripartire da zero. A livello di club, Bruxelles non alza più coppe europee dai tempi del mitico Anderlecht e del Malines (e parliamo degli anni Ottanta) e dopo le continue debacles della Nazionale, la locale Federcalcio era un po’ confusa, sostituendo ben cinque Commissari tecnici in dodici anni. Partendo dai vivai e portando il calcio nelle scuole, come avviene nei campus universitari americani, per unire l’utile e il dilettevole, il calcio belga non solo è risorto, ma è anche diventato un esempio da seguire.

Calcisticamente, il Belgio è un Paese strano: campione olimpico in casa nel 1920, il suo miglior piazzamento agli Europei è stato il secondo posto nell’edizione italiano del 1980 mentre a livello di campionato del Mondo il best place è stato il quarto posto di Messico ‘86.

Prima di partecipare a questo mondiale e a quello brasiliano di quattro anni fa, il Belgio saltò quello tedesco e nell’edizione nippo-coreana del 2002 si spinse fino agli ottavi di finale, dove fu eliminato in maniera molto discutibile dal Brasile poi campione. A distanza di sedici anni, una bellissima rivincita per la generazione dei Lukaku, dei Kompany, degli Hazard e dei Courtois.

Era dai tempi di Jan Ceulemans, Franky van der Elst e Jean-Marie Pfaff e del Commissario tecnico Guy Thys che in Belgio non si festeggiava una prestazione calcistica di rilievo della propria equipe de football in un Paese che ha nel ciclismo il proprio sport nazionale.

I ragazzi di Martinez sono un mix multietnico di gioventù, forza, fantasia e tutti protagonisti anche nelle loro squadre di club: dei ventitre convocati da Martinez, uno solo gioca in Belgio ed undici militano in Premier League dove sono tra i giocatori più forti e rappresentativi.

Un mix di emigrati dal Congo (Kompany, Lukaku, Boyata, Batshuayi e Tielemans) e dall’Africa sub-sahariana (Fellaini e Chadli dal Marocco, Dembele DAL Mali), nonché dalle “autoctone” Fiandre (Courtois, Alderweireld, Mertens) e Vallonia (Witsel ed i fratelli Eden e Thorgan Hazard). Un melting pot di classe, forza e fantasia a scapito però del campionato nazionale, visto che le squadre più forti d’Europa acquistano a peso d’oro i gioiellini della Jupiler Pro League, la Serie A nazionale. L’unico giocatore che milita in Belgio dei convocati di Russia 2018 è Leander Dendoncker dell’Anderlecht. Per intenderci: il capitano della squadra più famosa del Belgio fa panchina.

Ora Hazard e soci affronteranno martedì sera, in un derby francofono, la Francia di Mbappé e Pogba e si prevede un match elettrizzante con molto pathos, perché chi vince andrà a giocarsi la finalissima di Mosca. Un’occasione senza precedenti per la “generazione dei fenomeni” belgi per dimostrare che non sono una squadra sopravvalutata, ma conscia delle sue possibilità e capace di lottare finalmente per vincere la coppa più bella ed importante di tutte.

In questo Mondiale si stanno togliendo grandi soddisfazioni il gigantesco, forte ed affidabile portiere Thibaut Courtois che migliora di stagione in stagione e che rappresenta l’ultima generazione di portieri belgi che ebbe in Jean-Marie Pfaff e Michel Preud’homme i suoi maggiori esponenti. La difesa è il regno di Vincent Kompany, “centralone” del Manchester City (di cui è capitano) e con cui divide il ruolo in maglia rossa con Thomas Vermaelen (un passato all’Arsenal, un presente al Barcellona con un intermezzo alla Roma), con accanto gli Spursers Toby Alderweireld e Jan Vertonghen. Kompany ha tribolato in queste ultime tre stagioni con tanti infortuni che avrebbero potuto pregiudicargli la convocazione al Mondiale, si aggiunga.

A centrocampo spaziano ragazzi abili con i piedi e…con i parrucchieri: Axel Witsel, ex Zenith San Pietroburgo e considerato uno dei giocatori più forti della sua generazione nonché bramato in tante sessioni di calciomercato dalla Juventus (per poi andare a giocare in Cina con il Tianjin Quanjian) e Marouane Fellaini del Manchester United, colui che (da subentrato) ha messo in riga il Belgio contro il Giappone, segnando il gol del momentaneo pareggio con un bello stacco di testa. Per non parlare di Kevin de Bruyne e del suo bellissimo gol contro il Brasile e faro del Manchester City di Pep Guardiola.

Davanti la coppia d’oro è quella formata da Eden Hazard e Romelu Lukaku, sei reti in due in questo Mondiale e arma in più dei Diavoli rossi. Se l’attaccante di origine congolese è devastante, il numero 10 di La Louvière è un folletto: è ovunque, scappa sempre all’avversario e compie giocate sopraffine. Tanto per intenderci: ieri sera sembrava un brasiliano dalle sue giocate in campo, vincendo il confronto con l’altro numero 10 dell’incontro, Neymar. E in caso di vittoria del Mondiale, il numero 10 del Chelsea si candida almeno per il podio del prossimo Pallone d’oro.

Il nostro calcio, spettatore di questo Mondiale russo, dovrebbe prendere esempio da ciò che è successo in Belgio in questi ultimi anni. Ma forse non basterebbe neanche, perché il calcio (la storia insegna) va a cicli e questo è il ciclo (nonché il momento) dei ragazzi terribili del Belgio.