Home Editoriale Coppa d’Africa 2017, chi succederà alla Costa d’Avorio?

Coppa d’Africa 2017, chi succederà alla Costa d’Avorio?

LA COPPA D’AFRICA FESTEGGIA I SUOI PRIMI 60 ANNI CELEBRANDO IL SUO ANNIVERSARIO IN GABON. CHI SUCCEDERA’ ALLA COSTA D’AVORIO SUL TRONO DI REGINA DEL CALCIO AFRICANO?

Il calcio ha evangelizzato l’Africa ai tempi del colonialismo, lasciando in eredità antichi rudimenti ma anche il germe di una grande passione. Una volta emancipatesi, le nazioni del Continente Nero hanno iniziato con gli anni a scrivere la loro storia e a percorrere la loro strada. Fra sofferenze, umiliazioni, tirannie, perchè in Africa i poteri forti hanno sempre avuto bisogno dell’approvazione popolare facendo leva su ciò che li teneva uniti sotto un’unica bandiera. Fra demagogie e programmazione mirata.

Il primo fuoriclasse a nascere in questo meraviglioso continente non ha però vestito la maglia di una nazionale africana, ma quella dei suoi padroni, schiavisti, segregazionisti, che al momento della sua morte lo hanno messo sul pantheon degli illustri personaggi che hanno reso grande la loro nazione. A Lourenço Marques, l’attuale Maputo, in Mozambico, nacque Eusebio Ferreira da Rosa, il cui talento è stato scoperto da Bauer, antico capitano del Brasile, per poi venire educato nell’accademia del Benfica agli ordini di un maestro del calcio come Bela Guttmann. Con lui, il Portogallo iniziò a far parlare di sè anche nel calcio, non soltanto con i successi europei delle “Aquile”, ma anche con la nazionale lusitana, terza a Inghilterra ’66 con il protagonista della nostra storia titatore scelto del torneo. Una consacrazione.

Ma il calcio africano compiva i primi passi anche come vero e proprio movimento già nel decennio precedente. Grazie ad un lungimirante presidente come Aldelaziz Abdallah Salem, primo presidente della CAF nonche ideatore della Coppa d’Africa. Più che una competizione, la testimonianza delle velleità indipendentiste di un continente che, nonostante le enormi diversità, ha sempre saputo farsi nazione unica contro gli oppressori dalle teste coronate.

Il numero delle partecipanti, infatti, col passare delle edizioni aumentava seguendo il corso della storia, dando maggiore visibilità a una scuola legata a filo doppio alla vecchia Europa, ma che ha saputo non snaturarsi, offrendo un’immagine di sè unica e ricca di storie da raccontare.

Il Gabon, piccola nazione situata dell’Africa Centrale affacciata sull’Oceano Atlantico, avrà l’onore di ospitare l’edizione 2017 della manifestazione, quella dei suoi sessant’anni. Quattro saranno le città che faranno da teatro alle prossime 3 settimane in cui la febbre del calcio toccherà altissime temperature: Libreville, la capitale, Franceville, che tradisce le sue origini coloniali, Oyem e Port Gentil.

Libreville è legata a filo doppio al fenomeno della schiavitù, la tragedia umana più grande della storia dell’Africa; nel suo porto, il più importante dell’Africa sub-sahariana per un decennio, fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, è stato approdo degli schiavi ormai liberati dalla loro triste e drammatica condizione. Da qui il nome Libreville (città libera), come simbolo di libertà ma anche come monito. In questa città di oltre 500 mila abitanti, giocherà la nazionale ospitante, le “Pantere” di Pierre Emerick Aubameyang. Da appena un mese la guida della nazionale gabonese è stata affidata a un tecnico di provata esperienza come Josè Camacho, che non ha tardato nel mostrare il suo carattere fumantino già all’inizio della sua nuova avventura, polemizzando con la federazione in merito alla scelta dei collaboratori che lo affiancheranno. Per alcuni non sarebbe da escludere un suo clamoroso abbandono nell’immediata vigilia del torneo, ma quello che alimenta i dubbi sulla competitività del Gabon riguarda lo scarso tempo dedicato dallo spagnolo nella preparazione della coppa, dove la nazionale di casa punta per la prima volta a raggiungere le semifinali, dopo i quarti centrati nel 2012. A sbarrare la strada ai gialloblu ci saranno la Guinea Bissau, all’esordio della manifestazione, i cui giocatori alimentano le leghe minori del calcio portoghese, il Burkina Faso, finalista nel 2013 trascinato da Jonathan Pitroipa, e i “Leoni indomabili” del Camerun, orfani per la prima volta di Samuel Eto’o, il più grande giocatore africano di sempre (Eusebio escluso).

Ci spostiamo a Franceville, o meglio Masuku, fondata da un esploratore italiano naturalizzato francese, ovvero Pietro Savorgnan di Brazzà; due sono le nazionali favorite per il passaggio del turno, ovvero l’Algeria di Georges Leekens e il Senegal di Aliou Cissè.
I “Fennec”, tecnicamente forse sono la squadra più dotata del torneo, soprattutto a centrocampo dove spicca il talento di Riyad Mahrez, campione d’Inghilterra con il Leicester e vincitore dell’ultima edizione del Pallone d’Oro africano (succedendo ad Aubameyang). Ma anche i vari Ghoulam, Brahimi, Bentaleb e Taider sono attesi ad un ruolo da protagonisti. E se M’Bohli si conferma miracoloso come agli ultimi mondiali in Brasile, il ruolo di favorita è più che legittimo.
Il Senegal, invece, sogna grazie a due Lakatak, ovvero Koulibaly e Keita. Perchè Lakatak? Perchè masticano appena il wolof, la lingua originale che si parla a Dakar e dintorni (oltre al francese ovviamente), essendo nati rispettivamente in Francia e in Spagna. Ma quella dei “Leoni del Teranga” è una nazione che accoglie i suoi figli, soprattutto quelli prodighi. In nome della “negritude” di cui il paese africano è da sempre il testimone principe, grazie all’opera di Leopold Sedar Senghor, raffinato poeta e anche presidente (lui cattolico dove la quasi totalità della popolazione professa la religione musulmana). Chissà se qualche griot negli anni a venire racconterà la storia di una nazionale che finalmente, per la prima volta, verrà ricordata per una vittoria storica…

Oyem, situata sugli altipiani, è passata alla storia per una barbara storia di violenza e morte, subite una ventina di anni fa da alcune funzionarie dei Peace Corps americani; per non parlare delle epidemie di rabbia e tifo che hanno mietuto parecchie vittime in tutto il Nord del Paese.
Oyem sarà il teatro delle imprese di due talenti che sicuramente reciteranno un ruolo non da comprimari nel romanzo della Coppa d’Africa di quest’anno, ovvero Franck Kessiè e Younes Belhanda.
Kessiè, oggetto degli interessi di diversi club di prestigo (Juve in testa), sta letteralmente impressionando con la maglia dell’Atalanta; potenza fisica unita a un’ottima tecnica e ad una straordinaria capacità di leggere il gioco, indipendentemente dalla posizione ricoperta sul campo. Sinonimo questo di grande intelligenza mista a voglia di imparare. La Costa d’Avorio che mette in palio il suo scettro dipende da lui, esauritasi la meravigliosa generazione dei Drogba e dei fratelli Tourè. Assente Gervinho per infortunio, sarà Kalou a ricoprire il ruolo di braccio armato per gli “Elefanti”.
Quando il Montpellier vinse a sorpresa la Ligue 1, tutti abbiamo celebrato il talento sublime di Belhanda, destinato a ricoprire un ruolo di primo piano sugli scenari calcistici europei. Invece il marocchino è andato a coprirsi di gloria (e a irrobustire il conto in banca) in Ucraina, vincendo altri due campionati con la Dynamo Kiev. Nel frattempo in Francia il PSG ha istituito una vera e propria dittatura a suon di petrodollari. Se quest’anno il dominio dei parigini vacilla, è per merito di una squadra, il Nizza, che oltre a Balotelli e Pléa, vanta fra le proprie file proprio Belhanda, desideroso di interrompere il dominio degli sceicchi. Un caso? Ovviamente no, soprattutto alla luce del suo talento, assolutamente superiore alla concorrenza. Hervè Renard, per centrare il suo personalissimo tris dopo i successi del 2012 con lo Zambia e del 2015 con la Costa d’Avorio, non può prescindere la lui.
Il nostro viaggio termina a Port Gentil, città di pescatori e più importante porto del paese, ovviamente fondata dai francesi. Sarà teatro delle partite del “grupo de la muerte”, con Ghana, Mali, Uganda ed Egitto.
Le “Black stars” fanno leva su un team dove non manca di certo la muscolarità nei suoi interpreti. Buona tecnica di base, la compattezza risulta essere la caratteristica che spicca nella nazionale di Avram Grant. A centrocampo si ha l’imbarazzo della scelta, con i vari Atsu, Duncan, Badu, Asamoah e Acheampong. In attacco figurano i figli di Abedi Pelè che vinse la coppa nel lontano ’82, ovvero Andrè e Jordan, ormai protagonisti consolidati in Inghilterra. La finale persa due anni fa contro Drogba & co. brucia ancora, la consacrazione di una generazione che celebrò il suo battesimo vincendo i Mondiali juniores nel 2009 potrebbe arrivare quest’anno.
A impedirglielo è particolarmente indiziato l’Egitto; i “faraoni”, vincitori ben 7 volte della competizione, sonio guidati dall'”hombre vertical”, al secolo Hector Cuper. Un tecnico che rispecchia fedelmente il modo di intendere il calcio da quelle parti, ovvero grande praticità, poco spazio ai fronzoli, e soprattutto grande organizzazione. L’Egitto di un decennio fa, che vinse tre volte di fila, incarnava proprio questo spirito, ed il portiere El Hadary (44 anni quest’anno) lo sa bene. Sarà lui il leader di un gruppo che ha in Salah la vedette principale. Il funambolo della Roma è atteso alla consacrazione in una competizione internazionale, sfidando gente come Aubameyang, Belhanda, Kessie e Keita per il ruolo di miglior giocatore del torneo.

Il 14 Gennaio, a Libreville, l’Africa è pronta a celebrare sè stessa attraverso i suoi ambasciatori del Gioco.

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