Home Editoriale Evviva il “gufaggio”, diritto inviolabile di ogni tifoso per bene

Evviva il “gufaggio”, diritto inviolabile di ogni tifoso per bene

Juventus Empoli

Il bello e il brutto dello sfottò, il ‘gufaggio’

Dare il giusto peso ad ogni cosa è il segreto per stare bene con se stessi e con gli altri. E trovare il giusto equilbrio aiuta a non esagerare, perché il troppo è nemico del giusto. Non ci piacciono gli integralismi, soprattutto di questi tempi: vogliamo vivere tranquilli e ci piacciono le cose semplici. Sappiamo benissimo che i gol di Mandzukic e Cristiano Ronaldo sono nulla di fronte alle vittime del terrorismo ma anche di fronte alla disoccupazione, ai migranti che annegano nel canale di Sicilia, ai femminicidi e a tanto altro.

Nessun moralismo

Non accettiamo lezioncine o moralismi vari: il calcio ci piace da impazzire e non permetteremo a nessuno di fermare quel pallone che rotola per farci entusiasmare o piangere. Il loro obiettivo è proprio questo: toglierci i sogni spargendo sangue. Non ci riusciranno, perché ogni maledetta domenica saremo sempre lì ad appassionarci, a tifare, a innervosirci e a dilettarci in sfottò e gufacci vari. Sfottò e gufacci, appunto. Diamoci una calmata, ragazzi, altrimenti il nostro pallone implode da solo.

Iniziamo a dire che amare l’Italia significa pagare le tasse e gettare le cartacce negli appositi cestini della spazzatura: cose ben più serie, appunto, di una finale di Champions League. Si sfotte e si gufa – con gusto e ironia – perché sono le regole di un gioco ed è una ruota che gira: oggi “godo” io, domani mi punzecchi tu, dopodomani ci beviamo un caffé al bar e ridiamo insieme perché il calcio, sfottò e gufaggi compresi, unisce come poco altro al mondo. Ce n’è per tutti, tranquilli. Il 6 maggio 2002 gli interisti hanno dovuto sopportare ogni genere di angheria dialettica dopo i gol di Poborsky. Il 25 maggio 2005 al triplice fischio finale che decretava la vittoria in rimonta del Liverpool i milanisti sapevano bene che non avrebbero passato un’estate tranquilla.

Nel 2006 gli juventini si sono ritrovati in serie B e Calciopoli è stato per loro un vortice di barzellette e canzoncine crudeli. Non oso immaginare cosa sia successo ai romanisti dopo la famigerata sconfitta contro il Lecce di qualche annetto fa, oppure ai laziali dopo il sorpasso al fotofinish del Milan di Zaccheroni nel ’99.

“Non vincete mai”, “tornerete in B”, “Volevano vincere”, “Fino alla finale”: il repertorio è ampio, le coreografie dei tifosi sono talvolta da incorniciare per pepe e originalità e danno un bel tocco di colore se ovviamente non sfociano nel troppo che, come dicevamo prima, è quasi sempre nemico del giusto. Non si innervosiscano taluni opinionisti di fede bianconera che si sono spinti a definizioni davvero poco carine dei cosiddetti “gufi”: c’est la vie e nella vie il calcio è qualcosa di bello, che di brutture che chiamano insulti ce ne sono ben altre.

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