Football Legend, il Grande Torino: solo il fato li vinse

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Grande Torino

04Football Legend: il Grande Torino

C’era una squadra che era al contempo la più forte d’Italia, d’Europa e del Mondo. Aveva fornito, in una sola partita della Nazionale, dieci giocatori su undici ed aveva fatto innamorare una generazione di persone che pensava al calcio per dimenticare le tragedie della guerra appena terminata. Era una squadra che ha dominato il calcio nazionale tra il 1942 ed il 4 maggio 1949 e che solo il destino ha posto fine al suo Sogno: il Grande Torino. I granata erano stati, nel mentre, capaci di vincere ben cinque scudetti consecutivi (come la Juventus di Carcano negli anni Trenta), diventando anche la prima squadra a fare il double (campionato e Coppa Italia nella stessa stagione, la 1942/1943). Quel Torino era una squadra perfetta, macinava gioco e reti, incantava gli spettatori e vinceva a mani basse, nonostante una concorrenza agguerrita. Il Grande Torino era il Barcellona di oggi, tanto per intenderci.

IL GRANDE TORINO

A capo di quel colosso calcistico c’era un giovane industriale del cuoio, Ferruccio Novo, nato, ironia della sorte, lo stesso anno della Juventus. In pochi anni i suoi sforzi economici portarono un discreto Torino al top del calcio nazionale.

I giocatori che composero quella fantastica squadra spaziavano dal portiere Valerio Bacigalupo ai difensori Aldo Ballarin, Virgilio Maroso e Mario Rigamonti, dai centrocampisti Eusebio Castigliano, Giuseppe Grezar ed Ezio Loik agli attaccanti Franco Ossola, Romeo Menti, Guglielmo Gabetto ed il capitano Valentino Mazzola, uno dei primi fantasisti del calcio italiano. Oltre a questi, sono stati degni di nota Alfredo Bodoira, Pietro Ferraris, Sergio Piacentini e, per una sola stagione, Silvio Piola. Gli allenatori di quel Toro sono stati gli ungheresi Ernő Erbstein ed András Kuttik, l’austriaco Tony Cargnelli, Antonio Janni, Luigi Ferrero, la coppia Sperone-Ellena e, per finire, ancora Erbstein, tornato in Italia dopo la fuga a seguito delle leggi razziali che lo fecero riparare in Ungheria durante la guerra.

Il “miracolo” Torino iniziò nel campionato 1942/1943, quando vinse il suo secondo titolo e si concluse nel tardo pomeriggio del 4 maggio 1949. In quegli anni, il Torino realizzò qualcosa come 440 reti (88 reti a stagione di media), con il capitano-simbolo Valentino Mazzola goleador con centodiciotto. Il tempio dello spettacolo era il mitico stadio Filadelfia, “il Fila”, imbattuto per cento partite consecutive (ed oggi un rudere).

Il Grande Torino vinse i campionati con numerose vittorie in stagione e gol realizzati: nel campionato 1947/1948 i granata vinsero 29 partite sulle quaranta disputate, mettendo a segno 125 reti (record mai più eguagliato) e con un sedici punti di vantaggio sulle inseguitrici.

I ragazzi di Novo erano una squadra ammirata in tutta Europa ed il 3 maggio 1949 furono invitati in Portogallo per un amichevole contro il Benfica, squadra già affermata a livello europeo. Una partita amichevole in onore del centrocampista Chico Ferreira quella dello “Stadio nazionale” di Lisbona, con in palio una piccola coppa e la possibilità di aiutare i lusitani allora in crisi economica. Lo stadio di Lisbona era pieno in ogni ordine di posto: il Grande Torino portava gente allo stadio anche all’estero.

Non partirono per il Portogallo i giocatori Sauro Tomà e Renato Gandolfi, il presidente Novo e Niccolò Carosio (il presidente per motivi fisici, il radiocronista per impegni familiari), mentre Aldo Ballarin spinse affinché il fratello Dino partisse per Lisbona come terzo portiere, lasciando a casa, di conseguenza, Gandolfi. Al seguito della squadra c’erano anche alcuni giornalisti, tra cui Renato Casalbore, fondatore quattro anni prima del quotidiano sportivo torinese “Tuttosport”.

La squadra tornò in Italia il giorno successivo, il 4 maggio. Il volo partì da Lisbona alle 9:40, alle 13 atterrò a Barcellona per fare scalo ed alle 14:50 ripartì con destinazione Torino.

LA STRAGE DI SUPERGA

A pochi minuti dal suo atterraggio, le condizioni climatiche erano molto avverse con pioggia, nebbia e vento, tanto che la visibilità era appena di trenta metri. Alle ore 17:05 ci fu il terribile schianto del “212 Fiat” trimotore contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, sull’omonima collina a 672 metri sul livello del mare a dieci chilometri da Torino.

Si disse che si fosse rotto l’altimetro e che quindi il pilota fosse stato tratto in inganno e non sapeva che si trovava a ridosso di una collina, pensando che fosse a destra. Tutte le persone a bordo del volo persero la vita: diciotto calciatori (Valerio Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Émile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert); tre dirigenti (Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti); l’allenatore ed il suo staff tecnico (Egri Erbstein, Leslie Lievesley, Osvaldo Cortina); tre giornalisti (Renato Casalbore, Renato Tosatti, Luigi Cavallero) e quattro membri dell’equipaggio (Pierluigi Meroni, Celeste d’Inca, Cesare Biancardi, Antonio Pangrazi). Trentuno corpi furono estratti dalle lamiere di quel maledetto aeroplano.

La notizie fece il giro d’Italia e del Mondo. Alle esequie, tenutesi due giorni dopo, parteciparono tutta Torino e tutta Italia per rendere omaggio a quella leggendaria squadra.

Il campionato non era ancora concluso (mancavano ancora quattro partite) e Novo mise in campo una formazione giovanile (come fecero le avversarie) e a fine anno la FIGC dichiarò il Torino ugualmente campione d’Italia. Sulla collina che guarda dall’alto la città sabauda si chiuse l’epoca d’oro del Torino: undici anni dopo la squadra retrocesse per la prima volta in Serie B ed il settimo (e finora ultimo) scudetto arrivò solo nel 1976.

Chissà quanti altri titoli avrebbe potuto vincere quella squadra e chissà cosa avrebbe fatto l’Italia al Mondiale del 1950 se avesse avuto in rosa quei giocatori memorabili: in Brasile, la delegazione azzurra, traumatizzata dalla vicenda di Superga, decise di raggiungere il Sudamerica in nave anziché in aereo, impiegandovi tre settimane e perdendo tutti i palloni in mare.

I resti dell’aereo sono conservati nel “Museo del Grande Torino e della leggenda granata” di Grugliasco, inaugurato il giorno del 59° anniversario della tragedia.

Al Grande Torino hanno dedicato libri, poesie, un film, una fiction televisiva e ben quindici stadi sono intitolati ai suoi giocatori: Varese (Ossola); Brescia e Lecco (Rigamonti); Savona (Bacigalupo); Chioggia e San Benedetto del Tronto (fratelli Ballarin); Trieste (Grezar); Marostica (Maroso); Mantova (Martelli); Santarcangelo di Romagna e Taranto (Mazzola), mentre a Romeo Menti ne sono dedicati ben quattro (Vicenza, Castellammare di Stabia, Nereto, Montichiari). Lo stadio “Flaminio” di Roma non è intitolato, ma è dedicato al Grande Torino, mentre l’ex calciatore del Torino, Alberto Fontana, ha giocato molti anni della sua carriera con il numero 31 sulle spalle in ricordo delle vittime di Superga.

Dallo scorso anno, il 4 maggio è considerato dalla FIFA come “giornata mondiale del gioco del calcio”

Ancora oggi, a distanza di quasi 70 anni dall’accaduto, ogni 4 maggio c’è sempre un raduno di tifosi per ricordare l’anniversario della tragedia: migliaia di supporter prendono parte alla ricorrenza. Tifosi non solo della città e del Piemonte, ma anche da tutta Italia e dall’estero si ritrovano, commossi, per rendere anche un piccolo omaggio alla squadra maestra del calcio italiano e che ha fatto grande la piccola Italia allora uscita dalla guerra.