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Leader si nasce

QUESTIONE DI CARATTERE

Alla fine di Argentina – Colombia, nonostante la vittoria, per il gruppo della Selecciòn è giunto il momento di prendere posizione. Una decisione forte, sicuramente non condivisibile in toto, ma frutto di una politica che ha visto lo spogliatoio come principale artefice.

In sala stampa, un Messi corrucciato come poche volte in vita sua, dà il La alla sua battaglia contro i media, rei di aver maltrattato la Nazionale in un momento così delicato, con una classifica non brillante, e una serie di prestazioni poco convincenti.
Spesso, nel costante parallelismo fra la Pulga e Diego Maradona, si ha accentuato la (presunta) mancanza di leadership del fuoriclasse di Rosario; lui, così anti personaggio, come può essere paragonato al Diez, da sempre in prima linea al momento di imbastire l’ennesima crociata?

Nel periodo di transizione che ha attraversato il Barça, prima dell’avvento di Luis Enrique, con la dipartita di elementi come Xavi e Puyol, e l’età avanzata di Don Andrès Iniesta, Messi era atteso alla sua sfida più importante, da traslare anche in Nazionale. Una sfida che è anche una prova di maturità per un giocatore che, sul campo, francamente non ha più niente da dimostrare. Ma, si sa, nel calcio come nella vita, il mestiere di detrattore seriale è il più praticato al mondo.

E per Leo, questo fardello, inizialmente pesante, ha iniziato ad adattarsi alla sua schiena logora da mille battaglie. E, alle soglie dei trent’anni, pur col suo completo understatement, senza urlare, dà l’idea che il ruolo di leader, seppur silenzioso, gli calzi a pennello.

L’Argentina, ma possiamo anche estendere il discorso in altri contesti (ad esempio il Milan…), palesa la mancanza di uomini di forte personalità, a parte qualche eccezione, come Mascherano. Contro il Brasile si è vista una squadra priva di mordente, ma soprattutto senza sentire sulla pelle il calore di quella maglia. In questo Maradona aveva un carisma inimitabile, e godeva di un effetto alone sui suoi compagni, che li spingeva a rendere ben oltre le proprie, limitate, qualità.
L’Argentina attuale è troppo europeizzata, sembrano quasi Globetrotter del calcio, ma senza gioia e voglia di divertirsi; e nel calcio, come nello sport, il divertimento ha le sue componenti di rischio. A Belo Horizonte si è visto tutto tranne che la “garra” di un popolo che ha fame vittorie da troppo tempo, una fame ancora da saziare dopo anni di delusioni e di attese tradite.

La leadership è un esercizio difficile da mettere in pratica con gente consapevole del proprio talento, è più facile se i tuoi pretoriani hanno coscienza del loro ruolo. Chi si sobbarcherebbe un simile onere, in una pattuglia di piedi buoni come la Selecciòn? El Jefesito da solo non basta, occorre l’umiltà di servire un collettivo. Su questo Messi deve lavorare; nel Barça si fa forte di una filosofia da perpetuare e di cui lui è uno dei massimi esponenti, in Nazionale il discorso è più complesso ma non impossibile.

Se c’è un lato positivo nella vicenda del silenzio stampa degli argentini, è che chi ci ha messo la faccia, in un ruolo talvolta anche ingrato, è il suo giocatore migliore. Lo seguano a ruota, e avremo finalmente l’Argentina.

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