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Tavecchio e la calciocrazia

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IL TOTALE ASSERVIMENTO DEI COLLETTI BIANCHI DEL CALCIO AL DOMINIO DELLE TELEVISIONI E’ IL TEMA DI QUESTI GIORNI

Gli amanti di una visione romantica del Gioco, che è stupendo ammirare ma non di meno sognare a occhi aperti, avranno storto la bocca. Chi scrive, all’idea del “calcio – spezzatino” che Tavecchio ha benedetto con tutti i crismi, inizia a provare un sentore di rifiuto.

Rifiuto per quell’idea del football in cui l’unico criterio di valutazione e di operatività è soltanto collegato al totale asservimento ai potentati mediatici. Come se il gioco più bello del mondo avesse bisogno di schiavizzarsi alle logiche di chi vuole divulgarne il verbo riempiendosi le tasche.

Il nostro calcio, un tempo, faceva la voce grossa su tutti i fronti, perchè avevamo le squadre – rigorosamente al plurale – in grado di egemonizzare l’Europa, una Nazionale forte e proiettata al futuro – e qui ci siamo bisogna ammetterlo – e una classe dirigente che, per quanto interessata, operava in maniera più congeniale a chi il calcio lo vedeva in maniera più tradizionalista.

Sia chiaro, le televisioni hanno reso un gran servigio al Gioco – e viceversa – ma una misura nelle delibere in materia sarebbe stata meglio gradita da chi è legato a quella concezione dei ritmi del calendario decisamente meglio cadenzati. C’era la Domenica, dedicata al Signore, ai ravioli e al calcio. C’era il Mercoledì di coppa, con cene frugali o consumate sul divano innaffiate magari con una doppio malto, per non perdersi neanche la sigla dell’Eurovisione, che dava una connotazione particolare all’evento.

Siamo sicuri che questa scorpacciata ripartita in quattro giorni, incollata alle fatiche d’oltreconfine, sia il giusto viatico da prendere? Solitamente la bulimìa fa perdere il gusto delle cose, e la calciocrazia degli ultimi lustri non ha alimentato l’affezione ma tutt’altro.

In uno sport che non riesce talvolta a essere credibile per la pochezza intellettuale dei suoi protagonisti, dirigenti in primis, era l’occasione per uno di essi di voltare pagina puntando all’affezione e non all’evangelizzazione forzata. Che non giova a nessuno, predicatori e convertiti.

Una forma di protesta non violenta? La cara e vecchia radio, che non schiavizza e ha una sua musicalità di fondo che riempie lo spazio di quella patina color seppia che rende il tutto più famigliare.

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