Fenomenologia di Zlatan Ibrahimovic

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Zlatan Ibrahimovic

La notizia è vecchia di oramai una settimana, ma pensarci fa sempre venire i brividi: Zlatan Ibrahimovic ha rescisso con il Manchester United e, firmando un biennale con i Los Angeles Galaxy, chiuderà la carriera lontano dall’Europa. Dopo diciotto stagioni nei top campionati europei con squadre di grande pedigree, l’attaccante svedese ha deciso di fare i bagagli e trovare nella MLS l’ultima vetrina dove far vedere che è ancora un Giocatore con la G maiuscola. Nonostante i 37 anni in arrivo (li compirà il prossimo 3 ottobre), Ibra ha deciso di rimettersi in discussione dopo il grave infortunio che lo ha colpito il 20 aprile dello scorso anno negli ultimi minuti dei quarti di finale contro l’Anderlecht. Quel grave infortunio gli impedì di giocare la semifinale e poi la finale contro il “suo” Ajax, impedendogli di alzare al cielo (in campo) la sua prima coppa europea.

UN 2017 NEGATIVO

Il 2017 non è stato proprio l’anno di Zlatan Ibrahimović: l’infortunio in Europa League contro la squadra con cui quattro anni prima era entrato nella storia della Champions segnando quattro reti in 90′ come altri nove attaccanti; vedere la finale da spettatore nella “sua” Svezia; non aver vinto per la prima volta, al primo colpo, il titolo nazionale; non aver preso parte alla qualificazione della Svezia ai Mondiali in Russia contro l’Italia nello stadio, il “Meazza”, dove è stato più osannato in carriera;  non aver vinto il Guldbollen, il Pallone d’oro svedese, premio che, a partire dal 2005, aveva vinto undici volte, di cui dieci consecutive.

FISIONOMIA E CARATTERE

Fisicamente stratosferico (195cmx95kg, 47 di piede), Zlatan Ibrahomivic è stato un uomo-squadra, uno che riempiva gli stadi per cui valeva il prezzo del biglietto, un accentratore, una primadonna, uno spaccone, uno scontroso, un personaggio magico (all’Inter era “Ibracadabra”) che si esprimeva in terza persona parlando di sé, nonché uno cui metteva tutti ad un bivio: o piace o non piace. E la sua storia calcistica ne è stata l’esempio: diciannove anni da “pro”, otto maglie cambiate, contratti milionari firmati con facilità disarmante. Con due soli crucci: zeru Palloni d’oro, zeru Champions League. E sono proprio questi due trofei, la quintessenza per un calciatore, la maledizione dello svedese. E anche a livello di Mondiali non ha mai avuto grande fortuna nelle due edizioni cui ha preso parte (2002 e 2006), mentre a livello di Europei ha preso parte a quattro edizioni consecutive, lasciando il segno nel match contro l’Italia nella fase a gironi in Portogallo.

VERSO L’ADDIO AL CALCIO GIOCATO

Con il passaggio di Ibrahimovic alla Major League Soccer, il calcio europeo perde un grandissimo interprete di questo sport: fisicità, potenza, precisione, tecnica, velocità, capacità balistiche da far invidia ad un trapezista del circo. Peculiarità che lo hanno visto migliorare di stagione in stagione, con alcuni colpi tra il taekwondo e la pazzia (leggasi la celeberrima rovesciata contro l’Inghilterra che ha riscritto la storia della gravità). A 37 anni, Ibra il meglio di sé lo ha già dato, quindi la massima serie statunitense è il campionato giusto per dire addio al calcio.

I TROFEI E I TITOLI IN CARRIERA 

Di lui rimarranno gli undici scudetti conquistati con cinque squadre di quattro campionati diversi, diciassette coppe e supercoppe nazionali varie, 420 gol segnati. Con l’unica pecca di non aver mai vinto la Champions League. E ciò fa sorridere: il giocatore più completo e più forte in circolazione (per un certo verso anche più di Messi e CR7) non ha mai vinto la coppa più prestigiosa di tutte. E l’unica volta dove arrivò più vicino fu eliminato dalla sua ex squadra, l’Inter, quando militava nella squadra in cui era certo che avrebbe vinto la coppa, il Barcellona.

UNA CARRIERA DI PRIMISSIMO LIVELLO

Ed ecco formulare la domanda che attanaglia i tifosi e gli addetti ai lavori: ma Zlatan Ibrahimovic è stato davvero forte o è stato solo un grande bluff, imbastito da una forza fisica mai vista prima sui campi da gioco ed orchestrato dal suo procuratore? Quando un giocatore segna 420 reti e fa innamorare anche i tifosi delle altre squadre, un po’ forte dovrà pur esserlo. E se molti di questi sono stati vere acrobazie, leviamoci il cappello. L’attaccante di Rosegaard erano almeno due stagioni che meditava di chiudere la carriera in America, ma l’opportunità che gli ha dato lo United, un anno e mezzo fa, era irrinunciabile e con i Red devils ha chiuso in bellezza una storia calcistica nata nel Malmoe, sbocciata nell’Ajax e poi continuata con le migliori squadre del Vecchio continente: Juventus, Inter, Barcellona, Milan e Paris Saint Germain.

IL RAPPORTO CON GUARDIOLA 

Nel mezzo, rapporti ottimi con tutti gli allenatori avuti salvo uno: Pep Guardiola. Con l’entrenador di Santpedor, una stagione molto difficile e tormentata per Ibrahimovic, con un odio recondito dello svedese verso quell’allenatore a suo modo poco “carnale” e dedito al nascondersi. Lo svedese a Barcellona ci mise molto del suo per non farsi volere bene: non capì che lì non poteva fare l’Ibra visto in Serie A. In Catalogna entrò in disaccordo prima con la triade Messi-Iniesta-Xavi e poi con il tecnico: nonostante avesse iniziato la stagione in modo ligio, già dopo pochi mesi cominciò a fare il bad boy infrangendo molte regole (tipo presentarsi agli allenamenti in Ferrari).

ALCUNI GESTI CONDANNABILI 

Ibrahimovic è stato uno che non le ha mai mandate a dire: dal gestaccio ai tifosi dell’Inter dopo il gol sotto la curva Nord contro la Lazio nel 2009, al litigio violento con Oguchi Onyewu quando era al Milan, dalle polemiche con tutti i giornalisti alla rissa verbale con un arbitro dopo una Bordeaux-PSG. Insomma, balcanico nel DNA senza dubbio.

L’INFANZIA E LA GIOVINEZZA 

A forgiarlo, l’infanzia e la giovinezza passata a Rosengård, il ghetto di Malmoe, terra di persone e famiglie borderline, tra immigrati, violenze e furti. Una famiglia povera la sua che si è fatta in quattro per lui grazie a babbo Sefik (bosniaco) e a mamma Jurka (croata), nonostante l’alcolismo del primo e i problemi della sorella con le droghe pesanti. Fa strano, ma Zlatan Ibrahimovic da giovanissimo aveva tutt’altro che il fisico da calciatore moderno, ma aveva la cazzimma. E proprio questa gli fece fare il salto di qualità sin dai tempi del Balkan, la squadra di Malmoe che lo “scritturò” e lo fece conoscere ai talent scout del Malmoe. Con la maglia di uno dei club più blasonati dell’intera Scandinavia, rimase tre stagioni e, al termine della terza stagione con il club biancoblu, l’Ajax lo acquistò.

IL RETROSCENA ARSENAL E L’ARRIVO ALLA JUVENTUS

Nel 2000 sarebbe potuto andare all’Arsenal, ma i Gunners volevano fargli un provino ma lui rifiutò perché uno come lui non faceva provini. Prima di lasciare Amsterdam, segnò con un gol da cineteca (30 metri palla al piede, scartando cinque avversari) alla faccia di capitan Van der Vaart e di chi gli voleva male. Dagli aiacidi passò alla Juventus dove fece due stagioni nel complesso discrete, ma quando i bianconeri furono retrocessi in Serie B, Ibra optò per l’Inter. Lesa maestà? No, il solito cambio di maglia.

LE GIOIE CON LA MAGLIA DELL’INTER

I tifosi interisti andarono in visibilio e con lui in campo vinsero tre scudetti consecutivi. Il ragazzo maturò nella mente, nello spirito ed i gol aumentarono, diventando sempre più decisivo e indispensabile per i suoi compagni. La data top di Ibra è il 18 maggio 2008, Parma-Inter: al minuto 50 la Roma era campione d’Italia, l’Inter seconda. Ibrahimovic entrò al minuto 51 e al triplice fischio di Rocchi, grazie ad una sua rapida doppietta, l’Inter vinse lo scudetto e la Roma arrivò seconda. In maglia interista Ibra fu il miglior Ibra vincendo tre scudetti consecutivi, due Supercoppe nazionali, segnando sessantasei reti e vincendo la classifica marcatori nel 2009: mai aveva vinto una classifica marcatori di un campionato fino a quel momento. Ma gli amori travolgenti spesso durano poco e Ibra salutò la Madunina per la Sagrada Familia.

L’AVVENTURA A BARCELLONA 

Con il Barça, Ibrahimovic sapeva che avrebbe potuto vincere finalmente la Champions League, ma neanche in camiseta blaugrana riuscì ad alzare la coppa più prestigiosa ed il motivo fu semplice: la tanta odiata ed amata Inter matò il Barcellona in semifinale proprio grazie a coloro che sostituirono lo svedese in squadra, Diego Milito e Samuel Eto’o.

IL MILAN E IL PSG

Un anno in Spagna e il ritorno da re a Milano, sul Naviglio sponda rossonera. Nel Milan fu l’Idolo e tutti giocano per lui, ma non tradì le aspettative e nell’estate 2012 salutò e salpò in riva alla Senna dove accettò il contratto faraonico propostogli dall’emiro Nasser Al-Khelaïfi, pronto ad allestire un Paris Saint Germain super competitivo con giocatori sensazionali. La Ligue 1 è un campionato poco spettacolare e tecnico, dove le difese e le marcature non sono come in serie A e lo svedese segnò a raffica in una formazione che lo vede leader incontrastato in un contesto di campioni. In maglia parisienne viaggiò ad una media di 40 gol a stagione. Dopo Parigi l’esperienza di Manchester e ora la California.

DALLA GAVETTA AL SUCCESSO

Uno che è partito dalla gavetta, Zlatan: figlio di immigrati, ha abitato nel quartiere più famigerato di Malmoe con il desiderio di fare il calciatore per poter ridare ai suoi famigliari quello che gli avevano dato. E ci è riuscito alla grande, diventando un idolo per la sua comunità, la sua città, la sua Nazione e di chi ama il gioco del calcio.Zlatan Ibrahimovic, uno che o si ama o si odia: non ci sono vie di mezzo. Uno che in campo dava l’anima, uno che nelle difficoltà della partita era cercato dai compagni come dire “non sappiamo cosa fare? Là davanti c’è Ibra e ci penserà”. Ed il più delle volte era gol o un’azione da cardiopalma.

IL PARAGONE CON VAN BASTEN 

Ibra e quel paragone, azzardato o meno, con Marco Van Basten. Il paragone con il “cigno di Utrecht” per Ibrahimovic ha rappresentato per lui la carota e il bastone: “carota” perché come movenze, forza e classe ricordava il milanista, “bastone” perché al contrario di Van Basten non è mai stato decisivo nelle partite che contavano. Eppure Ibrahimovic è stato altro: uno che faceva venire la tachicardia ai suoi tifosi e a quelli avversari. E siamo certi che molti tifosi avversari lo avrebbero voluto nella propria squadra: basti pensare ai tifosi della Roma e del Napoli quando si era parlato di un approdo post parigino nella Città eterna o in quella di San Gennaro.

IBRA COME IL VINO 

Negli ultimi anni, Ibra è diventato ancora di più consapevole dei suoi mezzi e, fa strano, è migliorato ancora di più. E questo lo ha messo sul podio dei top calciatori di questi anni Dieci del XXI secolo. Ovviamente dopo Messi e CR7, ma solo perché questi hanno vinto ciò che Ibra non ha vinto: Champions e Palloni d’oro. Ibra, poi, lascia sentimenti contrastanti: amato dai tifosi di tutte le squadre di cui ha indossato i colori ed odiato da tutti gli altri (anche da quelli che lo hanno visto cambiare maglia per un’altra della stessa Nazione o della squadra avversaria della stessa città). Del resto sono amati ed odiati i Campioni con la C maiuscola. E lui rientra a pieno titolo.

MARKETING E BIOGRAFIA 

Zlatan Ibrahimovic è stato un catalizzatore di interessi: è uomo-marketing non solo della squadra per cui a fine mese porta a casa migliaia di euro, ma di se stesso. E come non dovrebbe esserlo: oltre che come calciatore, si è dimostrato ottimo biografo di se stesso con il libro “Io, Ibra”, il caso editoriale del 2011. Ne ha fatta di strada il ragazzo di Rosegaard, il figlio di immigrati cresciuto in un contesto dove parolacce e liti avevano il sopravvento su baci e carezze che scendeva in strada a giocare con un pallone per annegare i dispiaceri di una vita che si prospettava grigia.

Il calcio ha salvato Zlatan Ibrahimovic e lui lo ha ringraziato diventando uno dei calciatori più forti della storia. Quello che nella partita tra il suo Balkan e il Vellinge, appena entrato, segnò 8 reti rimontando da solo l’iniziale 0-4, mettendo in dubbio che avesse l’età dei suoi compagni e dei suoi avversari.

Anche per questo Ibrahimovic è stato un fenomeno.