Mancio e Sinisa, il derby dei vincenti

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Mancini

“L’allievo contro il maestro” non sarebbe il titolo giusto. Se è vero infatti che, quanto a curriculum e palmares, Roberto Mancini può guardare Sinisa Mihajlovic dall’alto, è vero anche che i due hanno una storia di amicizia e complicità che li pone più come compagni di viaggio. Insieme, Mancini e Mihajolvic, hanno reso grande la Sampdoria di Sven Goran Eriksson.

Sempre insieme, hanno portato finalmente al successo la Lazio di Cragnotti, che spendeva e spandeva già da qualche anno ma non riusciva a compiere il salto di qualità definitivo. Ecco, la caratura di Mancini e Mihajlovic emerge in tutta la sua grandezza proprio durante gli anni romani: grandi calciatori tecnicamente parlando, certo, ma prima di tutto condottieri, capi, generali in grado di dare alle truppe quel qualcosa in più che separa l’essere forti dall’essere vincenti.

Uno in attacco, l’altro in difesa, si sono sempre stimati all’inverosimile, si sono sempre fidati ciecamente l’uno dell’altro. Uguali e diversi, simbiotici nella voglia di eccellere, nel perfezionismo e nel carattere da leader. Mancini ha iniziato prima la sua avventura in panchina con Fiorentina e Lazio, mentre Mihajlovic ancora segnava gol a grappoli con le sue proverbiali punizioni. Mancini, nella sua prima parentesi interista, ha voluto a tutti costi Mihajlovic come libero in difesa ma soprattutto come sua protuberanza in campo e nello spogliatoio. Non a caso, appena appese le scarpe al chiodo, il serbo è diventato vice di Mancini con un ruolo che in quell’Inter tanti hanno definito fondamentale.

In una squadra di fenomeni – Ibrahimovic, Figo, Samuel, Cambiasso, Maicon, Vieira solo per citarne alcuni – importantissimo era il lavoro di Mihajolvic, l’uomo in grado di guardare negli occhi qualsiasi prima donna, di percepire e di risolvere sul nascere tutti i problemi che inevitabilmente sorgono nei gruppi composti da tanti numeri uno. Ma la straripante personalità di Mihajlovic non poteva per sempre sottostare alla luce accecante di un grande come Mancini: per questo il serbo, una volta “svezzato”, ha iniziato a viaggiare da solo. Se Mancini – anche in panchina – è un predestinato e ha vinto ovunque abbia lavorato, diverso è stato l’iter di MIhajlovic, che invece ha fatto la vera e propria gavetta, tra bei campionati a Catania ed esoneri a Bologna e Firenze, fino al brillante campionato a Genova, nella sua Sampdoria.

Troppo amici per non amarsi sempre, troppo simili per continuare a viaggiare insieme. A San Siro, domenica sera, si stringeranno la mano prima del derby e si abbracceranno dopo: nessun allievo e nessun maestro, semplicemente Mancini e MIhajlovic, Roberto e Sinisa. Ma in ogni secondo della partita, ci si può giurare, penseranno alla sola ed unica cosa importante nelle loro vite sportive: vincere, senza se e senza ma.