Dalla mascherina al kilt: Napoli ancora campione d’Italia

Ora ad Inzaghi non resta che la Champions per cambiare la stagione dell’Inter

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Terzo scudetto per “mago” Conte; McTominay raccoglie l’eredità di Osimhen

Napoli si risveglia (ammesso che qualcuno abbia dormito) completamente tinta d’azzurro, inebriata dalla conquista del suo quarto titolo italiano, il secondo negli ultimi tre anni; un’impresa simile dall’avvento del girone unico non era mai riuscita a nessuno al di fuori della ristretta cerchia delle tre grandi (Inter, Milan e Juventus) e naturalmente del Grande Torino, ma dobbiamo risalire all’immediato dopoguerra. I partenopei c’erano andati vicini nell’epoca d’oro targata Diego, ma i due primi scudetti giunsero nell’arco di quattro indimenticabili stagioni durante le quali arrivarono anche altri trofei nazionali ed internazionali. Ma quello era un Napoli straordinario, zeppo di campioni intorno al più grande e capace di misurarsi alla pari col nascente Milan di Berlusconi, di Sacchi e degli olandesi; gli ultimi due invece hanno vinto contro pronostico, senza essere i più forti, almeno sulla carta. Due stagioni fa Spalletti dominò dall’inizio alla fine, sfruttando l’anomalia del campionato spaccato in due tronconi dal mondiale qatariota, quando nessuno se l’aspettava dopo un mercato estivo apparentemente condotto al risparmio; stavolta il principale ostacolo tra gli azzurri e il tricolore sembrava l’enorme gap accumulato nella scorsa stagione, quando il Napoli, squassato dalla bulimia mediatica di De Laurentiis e dalle infauste scelte in panchina si era affossato fino al decimo posto, lontano da tutti e da tutto. Esattamente il punto di partenza più adatto per un tecnico come Conte, eccellente ricostruttore e motivatore di gruppi, straordinario comandante d’assalto quando si tratta di lottare per un solo, unico, grande obbiettivo.

Al di là delle dichiarazioni di facciata, utili a sviare i “nemici” e ad accrescere i meriti propri e della squadra una volta raggiunto lo scopo, Antonio Conte ha sempre puntato a strappare lo scudetto dalle mani del favoritissimo Inzaghi e del rivale designato, quel Motta posizionato troppo in fretta sull’altare e altrettanto presto gettato nella polvere dell’esonero.

Lui, il tecnico salentino dagli occhi di ghiaccio, una volta compreso che Osimhen sarebbe andato via, ha preteso Lukaku per sostituirlo: il belga non è più quello di una volta ma Conte scommette sulla sua funzionalità nel gioco del Napoli ed ha ragione, pienamente: 14 reti e 9 assist significano molto per una compagine non proprio dedita al gioco d’attacco. Buongiorno registra la difesa dopo il disastroso esordio di Verona, Neres aggiunge un pizzico di fantasia, ma è scozzese il colpo dell’anno: Scott McTominay spacca il campionato, crescendo partita dopo partita, imponendosi per capacità tecniche pari alla sua strapotenza fisica: attacca, difende, rifinisce, segna! A lui si aggrappa Conte quando la società in gennaio cede alle lusinghe parigine e lascia partire il georgiano, protagonista assoluto dello scudetto precedente, ma soprattutto fortifica ancora il gruppo squadra convincendolo che l’impresa non è impossibile, che l’Inter può perdere punti sulla strada per Monaco, e ci riesce.

Il Napoli di Conte non ammalia come quello di Spalletti, non strappa applausi a scena aperta per il suo gioco arioso,  ma vince, anche speculando sul “golletto” occasionale, e quando non vi riesce gratta almeno un punticino;  tutti passi decisivi per centrare l’impresa. Il Napoli di Conte si esalta in mezzo alla mischia, gioca a bulloni spianati, senza paura di sporcarsi nella polvere. Cade e si rialza senza mollare la presa, superando i momenti più difficili con lo spirito di chi ha un solo scopo e non si fermerà finché non l’avrà raggiunto.

Meret, il capitano Di Lorenzo, Rrhmani, Olivera, Lobotka, Anguissa, Politano, sanno già come si fa e non si lasciano scappare l’occasione di entrare di nuovo nella storia; Raspadori diventa l’uomo dei gol decisivi: tutti danno il loro contributo alla causa, anche il presidente che mette da parte il suo ego e lascia tutte le luci della ribalta al grande attore scritturato in estate. E lui lo ripaga con l’Oscar del campionato; uno scudetto meritato quanto sofferto e combattuto, vinto con le unghie e con i denti, lottando pallone su pallone, centimetro dopo centimetro; uno scudetto targato Conte, che forse se ne andrà, proprio come Spalletti, ma che resterà per sempre nella storia del Napoli.