Quando il calcio si giocava la Domenica…

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Perché, perché? La domenica mi lasci sempre sola, per andare a vedere la partita?”. Domanda ricorrente, interrogativo un tempo soltanto domenicale. Al massimo, ogni tanto, poteva succedere di mercoledì per una serata di coppa. Per il resto, con fidanzate e mogli era tregua condita da cenette casalinghe, pizze in compagnia e cinemini più o meno romantici.

Ma se da una parte ci dicono tutti i giorni che le politiche per la famiglia sono fondamentali, dall’altra la vita sentimentale di milioni di maschietti si fa sempre più dura. Poco tempo fa, per esempio, avevo invitato la mia fidanzata fuori a cena per un anniversario degno di nota. Non so perché – stupido io – ero convinto che la mia squadra giocasse di domenica. Una presunzione ben radicata e ancora difficile da stravolgere, forse per le centinaia di domeniche in cui si saltava il dolce preparato dalla nonna perché si doveva correre allo stadio o davanti a uno schermo in qualche bar a vedere la partita.

Certo, all’inizio degli anni ’90 qualcosa era già cambiato: con l’avvento delle prime pay tv, la partita di cartello si giocava la domenica sera alle 20.30. Una novità, sì, ma era pur sempre domenica, bestiale o meno a seconda di come andava a finire la partita. L’avevo invitata a cena, dicevamo, ed era tutto pronto per un sabato sera di coccole e amore. Quella mattina, ero uscito a bere il caffè e avevo incontrato un amico.

Dopo i saluti, ecco la frase da far gelare il sangue nelle vene. “Allora, stasera secondo te come va a finire? Ce la facciamo?” mi chiese l’amico versando lo zucchero nel caffè. “Stasera?” pensai io stralunato. Un paio di pensieri, un occhio alla prima della Gazzetta appoggiata sul bancone e realizzai il disastro.

Altro che domenica, la partita si giocava di sabato sera. E che partita: vincendo, saremmo rientrati a bomba nella corsa per un posto in Champions League. Con invidiabile autocontrollo continuai la discussione, poi mi assalì il panico. Stupido, stupido, stupido io. Mille volte mi ero detto che bisogna sempre guardare il calendario aggiornato per informarsi sui brutti scherzi che può tirare.

Venerdì sera, sabato alle tre, sabato alle sei, sabato sera, domenica alle dodici e mezza, domenica alle tre, domenica alle sei, domenica sera, perfino il lunedì sera un tempo regno incontrastato del Processo: le opzioni sono infinite e bisogna sempre stare sul chi và là prima di lanciare appuntamenti galanti e organizzare tête-à-tête romantici. Sudavo freddo, mentre componevo il suo numero di telefono.

“Ciao, amore” rispose lei radiosa. “Ciao” replicai io agitato. Dopo un paio di battute di circostanza, ecco l’affondo: “Allora stasera per che ora hai prenotato?” mi chiese lei. “Ah – aggiunse per rincarare la dose – metto quel bel vestitino che mi hai regalato l’anno scorso per il compleanno”. Riacquistando un po’ di orgoglio, pensai che in certe situazioni l’uomo deve fare l’uomo, senza paura: “Amore, senti, c’è un problema per stasera…” osai tremando. “Lo so, immaginavo, c’è la partita. Infatti mi chiedevo cosa ti fosse successo, di solito quando c’è la partita non ci sei per nessuno!” furono le sue parole.

E io che pensavo che lo spezzatino per lei fosse solo un bel piatto di carne. A cena ci andammo la sera dopo senza nemmeno dover prenotare, perché il posticipo domenicale prevedeva un big match che evidentemente tratteneva la maggior parte degli italiani sui divani dei rispettivi salotti.

Quella partita, dimenticavo, l’abbiamo persa male e la mia fidanzata, costretta a passare il sabato sera a casa (almeno così spero) infierì rispettosamente con un sms: “Dai, amore, non prendertela. E’ solo una partita di calcio!”. Allo spezzatino, per chiudere, ci si adatta: non ci sono alternative.

Ma che nostalgia per i tempi in cui si poteva cambiare fidanzata, lavoro, macchina e spiaggia ma una cosa non cambiava mai: la domenica, cascasse il mondo, c’era la partita.