Football Legend Gianluca Signorini

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Genoa

La storia di Gianluca Signorini, capitano coraggioso

Lo scorso 7 settembre in casa Genoa si è soffiato su una torta di ben 124 candeline. Il club più vecchio d’Italia, 9 scudetti e una Coppa Italia in bacheca, ha scritto la storia del calcio in Italia e ha visto giocare tra le proprie fila gente del calibro di James Spensley (colui che portò il football in Italia), Renzo de Vecchi, da William Garbutt (l’inventore del termine “mister”), Giovanni da Prà, Verdeal, Roberto Pruzzo fino ai contemporanei Vincenzo Torrente, Thomas Skuhravý, Carlos Aguilera e Diego Milito.

C’è un giocatore che è nella Hall of fame del club ed il cui numero di maglia è stato ritirato affinché nessun altro possa indossarlo. Questo calciatore ha scritto la storia del Grifone tra il 1988 ed il 1995, giocando oltre 200 partite, segnando cinque reti e diventando in breve tempo capitano e idolo della Gradinata Nord, feudo del tifo rossoblù. Stiamo parlando di Gianluca Signorini, il Capitano con la C maiuscola ed a lui, ed alla sua memoria, è dedicato lo spazio “Football Legend” di questa settimana.

Pisano del 1960, Signorini iniziò a giocare con i colori della squadra nerazzurra della sua città nel 1978 in Serie C1. Aveva 18 anni e, dopo sole due presenze, si decise di mandarlo in giro per farlo crescere. In diciannove anni di carriera, Signorini giocò tra Serie C2, Serie C1, Serie B e Serie A con Pietrasanta, Prato, Livorno, Ternana, Cavese, Parma, Roma, Genoa per poi chiudere la carriera nel suo Pisa, con una promozione in Serie C2.

In tutta la sua carriera ebbe tantissimi allenatori, da Meregalli a Viciani, da Sacchi a Liedholm, da Scoglio a Bagnoli: i primi due credettero sempre in lui e lo trasformarono in un difensore con i crismi, permettendogli di fare bene sia nella città di San Valentino che al “Simonetta Lombardi”; il tecnico di Fusignano lo ha reso uno dei più forti liberi della Serie B del periodo, portandolo ad essere uno dei trascinatori del “Parma dei miracoli” che nella stagione 1986/1987 in tre partite di Coppa Italia fece impazzire il Milan, eliminandolo negli ottavi di finale. Gli ultimi due dovrebbero essere analizzati a parte ed in entrambi i casi Gianluca Signorini era lì a guidare la difesa del Genoa e una squadra che dopo oltre cinquant’anni di oblio stava tornando in auge.

Da una parte il “Professore” Franco Scoglio, forbito nell’eloquio, fanatico della tattica, mentore di Signorini e dall’altra il “mago della Bovisa”, Osvaldo Bagnoli, che nella città di Colombo, sponda rossoblù, fece qualcosa di straordinario nel biennio 1990-1992.

E la mente vola alla doppia sfida nei quarti di finale di Coppa Uefa contro il Liverpool: 2-0 a Marassi, 1-2 ad Anfield Road, con “Pato” Aguilera trascinatore del Genoa alla prima vittoria di una squadra italiana nel tempio dei Reds. Peccato che la favola si concluse contro l’Ajax in semifinale. E contro i “lancieri”, poi vincitori del trofeo contro il Torino, il Genoa pagò l’inesperienza europea dei suoi giocatori.

Il periodo magico di Signorini si concluse al termine della stagione 1994/1995, quella della morte del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo, del susseguirsi di tre allenatori e della retrocessione in B dopo la sconfitta ai rigori nello spareggio di Firenze contro il Padova: 0-0 al 90′, 0-0 ai supplementari, Grifone battuto e retrocesso in cadetteria.

Eppure nel quadriennio 1989-1992, Genova divenne il centro del calcio nazionale con la Sampdoria vincitrice di scudetto, Coppa Italia, Supercoppa nazionale, Coppa delle Coppe ed una serie di sfortunate finali perse, tra cui le due “europee” contro il Barcellona in Coppa delle Coppe e Coppa dei Campioni, ed i risultati di un Genoa che era dalla stagione 1942/1943 che non arrivava almeno quarto in classifica.

Signorini era il leader in campo e fuori di quella squadra che ancora oggi dalle parti della Lanterna è ricordata con le lacrime agli occhi. E proprio in quel periodo nacque il mito di Gianluca Signorini, il ragazzo arrivato a giocare in Serie A a 27 anni con la Roma dopo aver girato l’Italia centro-meridionale ed essere diventato un idolo della città che ha dato i Natali al calcio italiano per poi vivere un po’ (troppo) nell’anonimato fino, in pratica, a “gli anni d’oro del grande Genoa” di Bagnoli.

Signorini chiuse la sua esperienza al Genoa con lo spareggio perso a Firenze, salutò squadra e tifoseria e tornò a Pisa. Non fu un tradimento, ma il segno che per lui era giunto il momento di chiudere con la squadra che lo fece diventare un mito.

Tutto era iniziato a Pisa, tutto finì a Pisa: Signorini, a 36 anni, fu uno degli artefici del ritorno dei pisani tra i professionisti dopo la stagione in Serie D nella stagione 1995/1996. Un vero leone sui campi della periferia del calcio.

Nell’estate 1997 decise di ritirarsi, puntando a diventare un allenatore: uno che era leader in campo non poteva che fare l’allenatore e infatti cercò di diventarlo. Cercò…perché non ci riuscì.

Motivo? Gianluca Signorini iniziò a non stare bene, non riusciva a muoversi bene ed era lento nelle articolazioni. Dopo aver fatto degli esami, ecco il tremendo responso: Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), o “morbo di Lou Gehrig”. La SLA consiste in una malattia degenerativa che provoca la paralisi progressiva degli arti e dei muscoli di tutto il corpo. In pratica, si è lucidi, si capisce cosa si sta provando…ma non ci si può muovere. L’ex capitano del “Genoa dei miracoli”, un ragazzone di 186×86 era stato colpito da una malattia rara (per i tempi che erano), ma che portò in poco tempo a fare ammalare tante persone. Tra questi molti calciatori, come Borgonovo, Lombardi e List.

Il popolo genoano fu colpito per la triste sorte del suo campione ed il 24 maggio 2001 avvenne un fatto senza precedenti per il calcio genoano: un’amichevole benefica tra le vecchie glorie del club e tutti i calciatori affrontati da Signorini in carriera. Quella sera a Marassi c’erano tutti i suoi ex compagni romanisti e genoani e sugli spalti oltre 25mila spettatori solo per lui. Lui, il protagonista, Gianluca Signorini, immobilizzato su una sedia a rotelle, incapace di parlare per la malattia che lo stava mangiando, in grado solo di muovere le dita per scrivere sulla tastiera di un pc. L’ex capitano capì che tutto lo stadio era lì per stargli vicino. Capì e si mise a piangere, un pianto strozzato dal fatto che non poteva muoverne nulla di sé. Il momento più toccante fu quando la figlia spinse la sua carrozzina e gli fece fare un ultimo giro di campo in quel campo dove era stato amato ed idolatrato. Ci fu una standing ovation e gli applausi furono scroscianti. Quella fu l’ultima volta che Gianluca Signorini entrò al “Ferraris” perché morì il 6 novembre 2002. Aveva 42 anni.

Cosa rimane di Gianluca Signorini a meno di un mese dall’anniversario della sua morte? Innanzitutto nessun altro giocatore, dal novembre 2002 in poi, ha più indossato la sua maglia, la numero 6. Il club decise di ritirare quel numero che per i tifosi del Grifone era sacro.

Al giocatore è stato dedicato il centro sportivo del Genoa a Multedo ed una gradinata dell’Arena Garibaldi-Anconetani. E anche a Livorno, nonostante l’odio atavico con Pisa.

Signorini è stato un baluardo, una bandiera ed il simbolo di una squadra, il Genoa, e di una tifoseria che cercò di tornare a livelli che da quelle parti mancavano da decine di anni. Signorini si innamorò di Genova e Genova si innamorò di Signorini: sette anni di passione, gioie, vittorie e delusioni che lo hanno reso immortale ai supporter della squadra più antica del nostro Paese.

La Procura di Torino è stata la prima a muoversi per scoprire cosa procurasse quella malattia terribile, arrivando a sospettare che la SLA potesse essere dovuta, per i calciatori, ad un effetto prolungato del doping. La giustizia serve…a fare giustizia, ma non porterà mai indietro né Signorini, né Borgonovo, Lombardi e le altre decine di calciatori e persone che si sono ammalate di questo morbo atroce.

Chissà cosa avrebbe fatto da allenatore, Gianluca Signorini. Non lo sapremo mai perché la “stronza”, come chiamava Borgonovo, la SLA, lo ha portato via dall’affetto dei suoi cari e di chi gli voleva bene, in campo e fuori. A noi non rimane altro che vivere nel loro ricordo, non dimenticandoli fino a quando staremo al Mondo.

Signorini, stai sereno: non sarai dimenticato. Mai.