Football Legend: Kakà

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La storia di Kakà, mito rossonero

Gli “Atleti di Cristo” sono un’associazione di sportivi che hanno una profonda fede cristiana. Non solo a parole, ma anche nei fatti. Nata in Brasile nel 1984, oggi conta molti adepti che hanno il compito di evangelizzare lo sport.

Nonostante questa associazione no profit abbia poco più di trent’anni di vita, in Europa (e quindi in Italia) è arrivata tramite, ovviamente, un calciatore molto forte che quando segnava alzava la maglia mostrando una t-shirt bianca con la scritta nera “I belong to Jesus”. Il nome di quel calciatore è il protagonista del nostro spazio settimanale “Football Legend”: Ricardo Izecson dos Santos Leite, più noto con il nomignolo Kakà.

Kakà a oggi è un ex calciatore poiché si è ritirato lo scorso 17 dicembre dopo una carriera che lo ha visto indossare in due occasioni (distinte) le maglie di San Paolo e Milan, Real Madrid ed Orlando City. Una carriera ricca di successi, gol fantastici e quella faccia da bravo ragazzo che ogni madre vorrebbe che la propria figlia sposasse.
Di tutte le esperienze calcistiche, quella milanista è quella che ha dato di più a Kakà: sette stagioni, trecentosette presenze, centoquattro gol, cinque trofei vinti e l’amore incondizionato di una tifoseria che avrebbe fatto carte false per non cederlo mai e di vedergli chiudere la carriera in rossonero.
Prima di parlare del Kakà “calciatore”, bisogna addentrarsi nel Kakà “uomo” scoprendo che si ha a che fare con una persona lontana anni luce dallo stereotipo del calciatore: faccia pulita, famiglia borghese, poche difficoltà nella vita in un Brasile ricco di contraddizioni sociali e noto per il joga bonito e il fútbol bailado grazie a calciatori nati, sopravvissuti e diventati grandi partendo dalle favelas. La família Leite non ebbe problemi economici: il padre faceva l’ingegnere, la madre l’insegnante, abitavano nel quartiere bene di Brasilia ma lui voleva fare e soltanto il calciatore, riuscendoci.
La prima squadra di Kakà è stata il San Paolo, con cui giocò tre stagioni, segnando moltissimo per non avere neanche venti anni. Due anni prima, nell’ottobre 2000, successe una cosa che poté cambiargli la vita. A causa di un ammonizione fu squalificato per la partita successiva e decise di prendersi un week end di pausa con la famiglia. Durante il soggiorno lontano da Brasilia, decise di fare il bagno nella piscina di un parco acquatico e, come qualsiasi 18enne, decise di tuffarsi in acqua. Peccato che sbatté la testa sul fondale e si ruppe la sesta vertebra. Per una ragazzata, Kakà poté rimanere paralizzato ma, come si dice in questi casi, “qualcuno guardò giù” e ne uscì praticamente indenne. In quel momento capì che era stato aiutato da Dio e da allora divenne ancora più credente di quanto non lo fosse prima. Ecco spiegato perché ad ogni gol alzava la testa al cielo e indicava lo stesso con gli indici.
Questa vicenda gli cambiò la vita (ed il destino) ed il 1° febbraio 2001 poté debuttare in prima squadra. Dopo una cura “ingrassante” a cura di esercizi e fatica fisica (e anche un cambio ruolo), Kakà coronò il suo sogno: giocare in una squadra del Brasileirão.
Rimase in maglia tricolor fino all’estate 2003, vincendo un torneo Rio-San Paolo (oggi non più disputato) ed un Supercampionato paulista tra il 2001 ed il 2002. Sempre nel 2002, a vent’anni, fu inserito dalla rivista calcistica “Placar” nella top 11 del campionato brasiliano (Bola de Prata) e di questi fu quello con i voti più alti, aggiudicandosi la Bola de Oro, il premio di miglior giocatore del campionato brasiliano.
Tutti iniziarono a tenere in considerazione questo giovane calciatore dalla faccia pulita e dalle movenze da top player in erba. Ed il Ct Scolari se lo portò in Corea e Giappone per il Mondiale nonostante avesse giocato fino a quel momento solo tre amichevoli in Nazionale. Nonostante fosse il giocatore più giovane dell’intera rosa, Kakà riuscì a giocare una ventina di minuti nel match contro il Costa Rica vedendo poi vincere dalla panchina la Seleção a mani basse il suo quinto Mondiale. Kakà a 20 anni aveva giocato più di Ronaldo “il fenomeno” in una manifestazione iridata alla stessa età, nonostante avesse avuto davanti a sé compagni di ruolo di un certo spessore come Rivaldo, lo stesso Ronaldo, Ronaldinho e Denilson.
In Brasile non si faceva che parlare di questo fantasista dal futuro roseo e per un calciatore brasiliano giovane e forte il futuro roseo si chiama Europa e Kakà, come centinaia (se non migliaia) di conterranei, si imbarcò su un aereo e volò verso l’Europa. Lo volevano diverse squadre: Juventus, Chelsea, Inter e Milan. I bianconeri non lo presero perché, secondo l’allora direttore generale Moggi, aveva un cognome “troppo buffo”, i nerazzurri e i blues non fecero un’offerta concreta e quindi il ragazzo di Brasilia atterrò a Milanello. Con i rossonerim Kakà scrisse un grande pagina di calcio, diventando uno dei calciatori più amati dai supporter del Diavolo.
Kakà arrivò al Milan nell’estate 2003 per poco più di 8 milioni di euro a poche settimane dopo il successo dello stesso Milan a Manchester contro la Juventus nella finale di Champions League. I rossoneri di Ancelotti erano una delle squadre più forti d’Europa e del Mondo con nomi clamorosi: da Dida a Maldini, da Seedorf a Rui Costa, da Serginho a Shevchenko, da Inzaghi a Gattuso, da Cafù a Pirlo. Gente abituata a vincere e ad alzare trofei che contavano: il luogo ideale dove un 21enne di grandi speranze poteva crescere e diventare un top player.
Nessuno tra i tifosi milanisti sapeva chi fosse Kakà, non essendo per nulla mediatico e visto che si presentò a Milanello con gli occhiali da professorino ed un look molto sobrio.
Ancelotti, serenamente, disse che non sapeva chi fosse il giocatore e che ruolo dargli, tanto che si parlò di prestito in un’altra squadra per fargli fare le ossa. Ed invece bastò poco al tecnico di Reggiolo per capire che quel ragazzino religioso e per nulla mainstream aveva i numeri giusti per lottare per una maglia da titolare in un parco giocatori di primissimo livello. E già alla prima giornata contro l’Ancona (il 1° settembre 2003), Kakà fece vedere numeri da giocatore navigato: da allora non stette più fuori dagli undici titolari. Quanti destini incrociati contro l’Ancona: contro i dorici aveva segnato il suo ultimo gol Marco van Basten e contro l’allora portiere marchigiano Nista lo stesso “cigno di Utrecht” aveva segnato il suo primo gol in Serie A contro il Pisa.
I tifosi capirono che il loro nuovo numero 22 li avrebbe fatti godere come dei matti il successivo 21 febbraio 2004, quando prese per mano la squadra e le fece fare una grandissima rimonta nel derby contro l’Inter: da 0-2 a 3-2 in ventinove minuti, dove Kakà segnò la rete del momentaneo pareggio e servendo l’assist a Seedorf per il gran gol che decise il match in favore dei padroni di casa. Il precedente 16 settembre aveva esordito in Champions contro l’Ajax. Altra coincidenza con van Basten, visto che gli aiacidi furono l’ultima squadra olandese prima che approdasse in rossonero.
Un top player Kakà lo divenne davvero: in sette stagioni (di cui sei consecutive) il numero 22 brasiliano vinse uno scudetto, una Supercoppa nazionale e due Europee e, da protagonista, una Champions League ed un Mondiale per club.
Tutti scoprirono Kakà, la sua tecnica, la sua corsa, la sua visione di gioco ma, sopratutto, iniziarono a scoprire una t-shirt bianca ed una scritta in nero: I belong to Jesus (Io appartengo a Gesù, trad.), mostrata ogni volta che segnava dopo aver guardato al cielo con in alto gli indici. Tutta Italia capì che aveva davanti a sé un predestinato ed una persona fortemente religiosa e devota.
Fino al suo primo addio all’Italia (nell’estate 2009), Kakà affinò la tecnica ed il fisico e divenne il giocatore più importante della rosa a disposizione di Ancelotti. Molti avversari decisero di marcarlo allo sfinimento, ma non ci riuscirono: Kakà era troppo veloce, Kakà ero troppo tecnico, Kakà cambiava sempre movimenti in campo. Kakà era immarcabile.
E si arrivò alla stagione 2006/2007, la miglior stagione di sempre (ancora oggi) di Kakà: la sua massima sublimazione. Nell’anno solare vinse Champions League, Supercoppa europea, Mondiale per club e Pallone d’oro. In campionato, il primo post “Calciopoli”, il Milan, partito con la penalità di 8 punti, si piazzò al quarto posto.
Kakà fu più maturo di due anni rispetto alla beffa di Istanbul (finale ai rigori contro il Liverpool) ed il suo talento toccò forse il top level della sua carriera.
Non ci credete? Andate a vedere l’azione ed il gol del momentaneo 1-2 contro il Manchester United ad Old Trafford nella semifinale Champions di andata: rinvio di Dida, palla a Kakà, fuga sulla sinistra, Fletcher scartato, Heinze scartato con un “sombrero”, Heinze ed Evra che si scontrano a ridosso dell’area per contrastarlo, Kakà toccò la palla di testa in avanti e a-tu-per-tu con Van der Saar segnò sul secondo palo. Un gol bellissimo in una partita combattutissima. Ancora oggi quel gol è considerato dallo stesso giocatore come il più bello della sua carriera. Era il 24 aprile 2007. Sempre nella stessa partita, Kakà aveva segnato anche il gol dell’1-1 con una corsa ed un tocco in area strepitoso.
Ma il gol di Kakà allo United non ci sarebbe stato se lo stesso Kakà non avesse segnato ai Celtic Glasgow a San Siro il 7 marzo al terzo supplementare: nonostante gli scozzesi avessero chiuso tutti gli spazi ai giocatori del Milan con un Boruc in formato mundial, questi capitolarono su un altro gol eccezionale di Kaka. Palla di Ambrosini per Kakà a centrocampo, il brasiliano si fece palla al piede dalla metà campo all’area avversaria ed in area tocco di sinistro e Milan in gol.
Ed il successivo 23 maggio allo stadio Olimpico di Atene, già teatro del mitico 4-0 del 18 maggio 1994 contro il Barcellona dream team di Cruijff da parte del “Milan degli Invincibili”, i rossoneri sbancarono e alzarono al cielo la loro settima Champions League.
A Tokyo, nel Mondiale per club, il fantasista di Brasilia trascinò alla vittoria il Milan, venendo eletto miglior giocatore della manifestazione. A corollario di quel fantastico 2007 la vittoria del Pallone d’oro ed il FIFA World Player. Kakà divenne il calciatore brasiliano numero quattro a vincere il premio di France Football, staccando Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Kakà è stato l’ultimo “umano” a vincere il trofeo prima del duopolio Pulce-CR7.
Le successive due stagioni di Kakà in rossonero (2007-2009), il Milan si piazzò quinto e terzo in campionato, mentre in Champions si spinse al massimo fino agli ottavi e in Coppa Uefa ai sedicesimi. Kakà fu sempre uno dei migliori.
Intanto in via Turati, sede storica del Milan, iniziarono ad arrivare offerte incredibili per Kakà: il Manchester City dello sceicco Mansur aveva offerto, durante il mercato invernale del gennaio 2009, una cifra fra i 100 e i 120 milioni di euro per il cartellino del giocatore. Una cifra monstre per le casse rossonere, ma i tifosi non volevano che il loro giocatore venisse ceduto. Gli stessi non gradirono sin dall’inizio le voci di un passaggio del loro beniamino ad un’altra squadra ed è ancora noto oggi il sit-in di via Turati, sotto la sede rossonera, al grido di “Non-si-vende Kakà”, cantato anche in molte occasioni allo stadio.
Ma l’8 giugno 2009 venne diffusa la notizia che nessun tifoso del Diavolo avrebbe voluto sentire: Kakà ceduto al Real Madrid per 67 milioni di euro e 9 milioni al giocatore per sei stagioni. Il club del Presidente Florentino Perez, tornato dopo tre anni al timone del club, quell’estate spese anche 94 milioni per Ronaldo, 35 per Karim Benzema e 28 per Xabi Alonso.
I milanisti caddero in depressione: come avrebbero fatto senza Kakà? Di contraltare la gioia dei “colleghi” del Real Madrid: con un attacco così, avrebbero vinto tutto. Kakà non prese la maglia numero 22 (per rispetto verso i tifosi rossoneri), ma la numero 8.
Esordì con la nuova maglia il 29 agosto 2009 contro il Deportivo La Coruña e la prima rete la siglò il successivo 23 settembre contro il Villarreal.
Madrid e il Real non erano come Milano, il Milan e Milanello e Kakà non fu mai a suo agio, in parte perché con i blancos era uno dei tanti giocatori e perché la sua esperienza fu falcidiata da infortuni (sopratutto la pubalgia e l’operazione al ginocchio sinistro nel 2010) ed un rapporto non troppo idilliaco con i tifosi.
Kakà rimase quattro stagioni in maglia merengues, disputando centoventi partite, segnando ventinove reti e vincendo un titolo nazionale, una Coppa di Spagna ed una Supercoppa nazionale: troppo ampio il divario con il Barcellona di Guardiola e Lionel Messi. In Champions League, i ragazzi di Mourinho raggiunsero tre volte consecutivamente le semifinali venendo sconfitti da Barcellona, Bayern Monaco e Borussia Dortmund.
Kakà a Madrid aveva dato segni di insofferenza e l’allora Ad del Milan, Adriano Galliani, da buon “condor di mercato” quale era, fece un blitz la sera tra il 1° e il 2 settembre 2013: contratto biennale a Kakà e Kakà che dopo 1500 giorni tornava in rossonero con l’avallo di uno dei suoi maggiori estimatori, Silvio Berlusconi. L’arrivo del brasiliano a Linate fu accolto da migliaia di tifosi pazzi di gioia nel rivedere ancora con la loro maglia un pezzo di storia del Milan.
Kakà aveva 31 anni, non era più al top della condizione e nella stagione 2013/2014 giocò trentasette partite segnando nove reti. Il suo secondo debutto in campionato con la maglia numero 22 (assegnata negli anni precedenti a Borriello, Nocerino e Bojan Krkic) avvenne il 14 settembre contro il Torino all’”Olimpico”.
La stagione del club fu deludente: ottavo posto e fuori dall’Europa dopo sedici anni consecutivi ed eliminazione in Champions League già agli ottavi di finale per mano dell’Atletico Madrid del “cholo” Simeone.
Il 6 gennaio 2014 Kakà segnò il gol numero 100 in casacca rossonera contro l’Atalanta a San Siro ed il 29 marzo successivo indossò per la 300a volta la maglia del Diavolo contro il Chievo Verona. La sua ultima partita la giocò a san Siro il 18 maggio 2014 contro il Sassuolo, con vittoria dei milanesi per 2-1.
Kakà era lontano parente di quel Ricardino che aveva fatto impazzire i supporters del Diavolo: più lento, più prevedibile, più fragile (fisicamente), ma sempre dotato di un tocco di palla da top player. Ma a tifosi questo interessava poco: Kakà era sempre Kakà, nonostante il tradimento blanco di quattro anni prima.
Ma non tutte le belle favole finiscono bene ed il 30 giugno 2014 si chiuse la storia d’amore tra Ricardo Leite ed il Milan, con la rescissione contrattuale. Chiuse dopo 307 partite e centosette reti totali: a oggi Kakà è il 27° giocatore con più presenze ed il nono con più reti segnate con la maglia del club meneghino.
La delusione fu forte per il giocatore, tanto che in estate prese le valigie e tornò in Brasile per rivestire la maglia della squadra che lo aveva lanciato, il San Paolo. Ma in maglia tricolor arrivò in prestito perché Kakà era un giocatore degli Orlando City, una franchigia della Major League Soccer.
Il campionato era discreto ma nulla di più, ma era il luogo giusto dove andare ad incantare il pubblico yankee affamato di bel calcio. In 79 partite il fantasista classe 1982 si tolse lo sfizio di segnare anche ventisei reti dopo di che disse basta. Si è ancora vociferato di un terzo ritorno di Kakà in rossonero, ma è stata una boutade romantica e nostalgica.
In Nazionale, Kakà disputò novanta partite segnando ventinove reti e prendendo parte a tre Mondiali (2002-2006-2010), due Confederations Cup (2005 e 2009, con vittoria verdeoro in entrambe) ed una Gold Cup (2003). Non prese mai parte a nessuna Copa America perché in due occasioni (2007 e 2014) ebbe problemi fisici. Il suo esordio con la Seleçao avvenne il 31 gennaio 2002 contro la Bolivia in amichevole e la prima rete la realizzò il successivo 7 marzo contro l’Islanda.
Ora Kakà è fuori dal calcio, professa la sua fede cristiana e si dice voglia intraprendere un giorno la carriera di pastore evangelico, una sorta di prete laico.
Per un Kakà massima espressione della fantasia brasileira anni Duemila, ecco il meno celebre (e meno dotato tecnicamente) fratello Digão, tre anni in meno e senza fortune alle nostre latitudini. Fu proprio grazie al fratello minore che nacque il nome Kaká, dato che da piccolo non riusciva a pronunciare il nome “Ricardo”.
Kakà è notp per il suo aiuto alle persone in difficoltà, uno che ha donato molto a chi non aveva niente. Lui che è stato baciato dal dio del Calcio e dalla vita.
Elegante fuori e dentro il campo, devoto, dolce e carismatico: questo è stato Kakà. Quello che giocava per divertirsi e divertire, quello che ringraziava il Signore dopo ogni rete e che grazie alla fede è potuto tornare a giocare dopo il gravissimo incidente in piscina ad appena 18 anni.
Ragazzo della porta accanto, Kakà ha scritto una bella pagina di sport arricchendo la nostra Serie A del tempo di un talento naturale, cristallino e versatile che ha fatto della fede la propria ragion d’essere: dal matrimonio con l’eterna fidanzata Caroline alla volontà di diventare pastore all’essere un “Atleta di Cristo”, non un vanto ma uno stile di vita. E associare l’essere un “Atleta di Cristo” ad un calciatore ha sempre fatto sorridere, ma solo perché tutti associano il calciatore in sé come un “peccatore” dietro a soldi, donne e ignoranze varie.
Kakà è stato altro: un esempio, un idolo, una persona umile, un qualcosa di estraneo in un mondo standardizzato. Un antidivo da sposare e cui affidare le proprie chiavi di casa e del proprio tifo calcistico. Sempre in “smoking bianco”.