Senza se e senza ma con Sulley Muntari

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Sulley Muntari

La brutta esperienza di Sulley Muntari

Cagliari-Pescara dello scorso 30 aprile non rimarrà negli annali del calcio per il bel gioco esposto: sardi salvi da tempo, abruzzesi retrocessi matematicamente la settimana prima. 1-0 il risultato finale con gol su rigore di Joao Pedro.
Il match del “sant’Elia” rimarrà però negli annali per la sfuriata di Sulley Muntari. Il centrocampista ghanese del Pescara ha ricevuto per tutto il corso della partita insulti razzisti e parecchi “buuu” da parte di alcuni pseudo-tifosi. Molte volte in carriera il giocatore ex Inter e Milan ha soprasseduto, ma domenica ha mostrato tutta la sua rabbia: è corso verso l’arbitro Minelli invitandolo a fermare il gioco spiegandone il motivo ma il fischietto di Varese ha ammonito il giocatore per proteste. Poi il ghanese è corso da un collaboratore di Minelli a spiegagli la situazione ma anche per lui si doveva tornare a giocare. Stufo di non aver avuto il supporto degli arbitri, Muntari è tornato negli spogliatoi e prima di entrare nel tunnel si è rivolto ai tifosi invitandoli di smetterla di prendersela con lui, invitandoli a stare zitti, facendo vedere il suo braccio sinistro ad enfatizzare che non dovevano essere fatti dei cori per il suo diverso colore della pelle.
Fino a venerdì mattina si pensava che Muntari avrebbe visto la partita dalla tribuna perché martedì il giudice sportivo gli aveva comminato una giornata di squalifica, ma venerdì pomeriggio quella squalifica è stata annullata dalla Corte sportiva d’appello della Figc. Nonostante tutto, Muntari ieri è stato tutta la partita in panchina.

I precedenti

Sulla vicenda dell’interruzione di gioco per cori razzisti c’è stato un precedente molto importante: 4 febbraio 2016, Lazio-Napoli, arbitro Irrati di Firenze, cori razzisti contro Koulibaly del Napoli, partita sospesa per 4 minuti con la minaccia dell’arbitro toscano di interromperla definitivamente in caso di altre intemperanze.
Domenica scorsa Muntari ha cercato di emulare ciò che fecero Marco André Zoro il 27 novembre 2005 a Messina e Kevin Prince Boateng a Busto Arsizio il 3 gennaio 2013: l’allora difensore del Messina, stufo dei continui insulti razzisti ricevuti da quelli pseudo-tifosi interisti aveva preso la palla e si era diretto verso l’arbitro Trefoloni intimandogli di sospendere il match. Invece il giocatore allora del Milan, durante l’amichevole del 3 gennaio 2013 contro la Pro Patria, stufo anch’esso dei continui insulti da parte dei tifosi di casa nei suoi confronti e di altri compagni (tra cui anche Muntari), aveva preso il pallone e lo aveva scagliato contro quella porzione dello “Speroni” occupata dagli pseudo-tifosi. Il centrocampista chiese la sospensione della partita che avvenne subito dopo quando si era al 26′ del primo tempo. Kevin Prince Boateng due mesi dopo fu invitato alla Giornata internazionale contro le discriminazioni razziali organizzata dall’Onu per raccontare la vicenda ed il suo pensiero contro il razzismo non solo nel calcio ma nella vita di tutti i giorni.
Purtroppo in molte (troppe) occasioni gli stadi italiani sono stati teatri di gesti, insulti e cori che hanno coinvolto giocatori e tifoserie avversarie, facendo fare al nostro calcio figure che non meriterebbe. La cosa che ha lasciato tutti di stucco nella vicenda Muntari è che il giocatore ha avuto l’approvazione dell’ONU nella persona di Zeid Ra’ad al-Hussein, l’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani indicando il giocatore di Konongo come “un motivo di ispirazione per tutti [quelli] che [si occupano] di diritti umani”, dell’agenzia che si occupa della tutela dei calciatori, la FifPro, che chiedeva che la squalifica di Muntari venisse tolta e la solidarietà del Presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, il quale ha espresso solidarietà nei confronti di Muntari (si, proprio quello di “Opti Pobà”, degli insulti alle donne calciatrici, ai gay e agli ebrei). Eppure fino a martedì Muntari era squalificato per un turno.
Attenzione però: il giudice sportivo ha seguito pedissequamente il regolamento, perché la doppia ammonizione in campo, comporta all’espulsione ed il turno di squalifica. Anche Minelli ha fatto il suo “dovere”: i cori/fischi lui non li aveva sentiti (come i suoi collaboratori) e quindi aveva fatto bene a non sospendere la partita. Ergo, i due “gialli” per Muntari sono sacrosanti: la regola 12 del gioco del calcio “Falli e scorrettezze”, in uno dei suoi tanti passaggi, afferma chiaramente che se un giocatore senza il permesso dell’arbitro lascia il rettangolo di gioco è da considerarsi espulso.
In tutta la vicenda Muntari sin dall’inizio è mancata una cosa importantissima: il buon senso. Il turno di squalifica per il giocatore del Pescara sarebbe stata una grandissima beffa: prima si è preso gli insulti e poi si è visto squalificare per colpe non proprie.
Di chi è la colpa? Molte colpe le ha Minelli, reo di non aver fermato il gioco per i cori, anche molti filmati hanno appurato che i “buuuu” si erano sentiti. Muntari durante il suo sfogo in campo ha accusato l’arbitro di non aver “avuto il coraggio” di fermare l’incontro e lui lo ha punito con la prima ammonizione.
Ovviamente non tutto lo stadio di Cagliari si è macchiato di un gesto così deprecabile, ma qualche pseudo-tifoso invece si è macchiato di una cosa molto grave che spesso (troppo spesso) accade sugli spalti di tutte le categorie calcistiche italiane. Come se non bastasse, Muntari avrebbe voluto regalare la sua maglia in segno di amicizia ad un bambino (ripeto: bambino) che a sua volta lo avrebbe insultato per il colore della pelle diverso dal suo.
Molti dicono che Muntari abbia sbagliato a reagire in quel modo, facendo il gioco di quelli che lo hanno insultato, mentre avrebbe dovuto essere superiore (come non ricordare Dani Alves, allora militante nel Barcellona, che prima di calciare un corner si è mangiato con nonchalance una banana gettatagli da alcuni tifosi del Villarreal?). Ma a tutto c’è un limite.
Anche nel resto del Mondo il problema razzismo esiste anche se molte Nazioni sembrano un passo avanti rispetto a noi, in particolare Inghilterra e Spagna. Chi invece è molti passi indietro è la Russia: ha destato tantissime polemiche il gesto dei tifosi della Dinamo Kiev che si sono presentati sugli spalti vestiti a mo’ di membri del Ku Klux Klan per intimare la società a non tesserare più giocatori colored.

Che fare

Sono decenni che si parla di lotta al razzismo nello sport. Molto è stato fatto a tutti i livelli, ma si vede che non è ancora a sufficienza visto che troppe volte accadono cose come quelle del “Sant’Elia”. Tra i calciatori più bersagliati nel nostro campionato ci sono il già citato Koulibaly e Antonio Rüdiger della Roma, con quest’ultimo che è stato oggetto di espressioni di stampo razzista da parte di Senad Lulic in un’intervista post derby di andata dello scorso dicembre. Ma furono oggetto di “attenzioni” in passato anche Mario Balotelli, Stefano Okaka, Olivier Dacourt, Samuel Eto’o e Akeem Omolade. Quest’ultimo, sedici anni fa, quando militava nel Treviso, era stato insultato pesantemente dai propri tifosi tanto da far giocare i suoi compagni la domenica successiva con il viso pitturato di nero come gesto di solidarietà nei suoi confronti.
Lo sport più bello del Mondo ne ha abbastanza di cose di questo tipo perché il calcio è un qualcosa di così universale che dovrebbe avvicinare le persone anziché portare all’odio.
Il razzismo è come una malattia: bisogna trovare l’antidoto giusto dopodiché questo problema può essere debellato, ma la strada è ancora molto in salita e sdrucciolevole. E se non esiste una “cura”, sarebbe meglio che tutti noi ci unissimo per sconfiggerlo una volta per tutte.