Estate 1980 si riaprono le frontiere: da allora campioni e bidoni

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Il calcio senza frontiere…

Middlesbrough, 19 luglio 1966: per i tifosi italiani, la data che cambiò per sempre il nostro calcio. Quel giorno, al Ayresome Park, andò in scena uno dei drammi più intensi del nostro calcio. Di fronte, per l’ultima giornata del girone 4 del Mondiale inglese, l’Italia del Ct Fabbri e la Corea del Nord di Myung Rye-hyun. In campo, due squadre tecnicamente impari: l’Italia con in campo Albertosi, Bulgarelli, Facchetti e Pascutti contro una Nazionale al debutto nella kermesse iridata. Chi vinceva, passava il turno ed avrebbe affrontato il Portogallo di Eusebio. Risultato scontato, quindi? Assolutamente no, perché a vincere è stata la cosiddetta “Nazionale di ridolini” con il gol di tale Pak Doo-ik, di professione (mai accertata) dentista. Corea del Nord avanti, Italia a casa e al suo arrivo all’aeroporto bersagliata di ortaggi.

Fabbri fu esonerato e al suo posto arrivò Ferruccio Valcareggi. Nel giro di quattro anni, la nostra Nazionale vinse prima l’Europeo del 1968 ospitato in casa e due anni dopo diventò vice-Campione del Mondo a Messico ‘70 sconfitta solo da un grande Brasile e dopo aver affrontato e sconfitto in semifinale la Germania Ovest nella “partita del secolo”.

Ma la sconfitta subìta contro una Nazionale che tornò ad un Mondiale solo quarantaquattro anni dopo (e facendo veramente malissimo) ha fatto capire molte cose alla Federcalcio guidata allora da Giuseppe Pasquale: basta all’ingaggio di giocatori stranieri nelle squadre di Serie A. Questa decisione, in tempi in cui non solo non c’era la “legge Bosman” ma lo stesso Bosman aveva appena due anni, fu lecita e a partire dalla stagione 1966/1967 nessuna squadra avrebbe più acquistato giocatori stranieri sia da squadre italiane sia dall’estero: potevano rimanere solo gli stranieri già tesserati che sarebbero stati ceduti alla fine del loro contratto. Oriundi a parte, dalla stagione 1976/1977 alla stagione 1979/1980, nessuna squadra italiana ebbe giocatori stranieri in rosa: 100% made in Italy.

Questa regola rimase in vigore fino all’estate 1980, quando per la prima volta, dopo quattordici anni, le società italiane potevano tesserare un solo giocatore straniero, europeo o extraeuropeo che sia.

Il 1980 fu, calcisticamente, un annus horribilis per il nostro calcio, con l’esplosione, il 23 marzo, del calcio scommesse (il Totonero) con le macchine delle forze dell’ordine negli stadi a trarre in arresto diversi calciatori della massima serie. Fu uno scandalo che condannò alla Serie B Lazio e Milan, a lunghe squalifiche idoli delle tifoserie e la penalizzazione di molte squadre la stagione successiva. In più, l’Europeo di quell’anno, ospitato dall’Italia, fu fallimentare non solo per la Nazionale (quarta dopo aver perso la finalina ai rigori contro la Cecoslovacchia), ma anche per il pubblico che disertò gli stadi, manifestando poco interesse vero la manifestazione perché schifato da cosa aveva visto poche settimane prima.

La Federcalcio diede l’ok all’apertura delle frontiere, anche per migliorare l’appeal di un campionato che, in 14 anni, a livello di club, aveva solo visto vincere una Coppa dei Campioni, una Coppa Uefa ed una Coppa dei campioni alle nostre squadre e altre tre giunsero in finale (due in Coppa dei Campioni, una in Coppa delle Coppe). Il nostro calcio sembrava perdere colpi rispetto al resto d’Europa e nell’estate 1980 la svolta: basta autarchia.

Partì quindi la caccia al colpo, possibilmente esotico e di caratura.

Delle 16 squadre allora partecipanti alla nostra Serie A, solo quattro decisero di non tesserare stranieri (Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro e Como) mentre le altre dodici sborsarono anche ingenti somme di denaro per dare ai loro allenatori il giocatore giusto per scalare la classifica.

Gli arrivi furono da due continenti, Europa e Sudamerica: arrivarono brasiliani (Juary all’Avellino; Luis Silvio alla Pistoiese; Enéas al Bologna; Falcao alla Roma), argentini (Bertoni alla Fiorentina; Fortunato al Perugia), olandesi (Krol al Napoli; van de Korput al Torino), austriaci (Prohaska all’Inter), irlandesi (Brady alla Juventus) e tedeschi occidentali (Neumann all’Udinese). Alcuni avevano un certo pedigree alle spalle (Falcao, Krol, Bertoni e Brady), altri si rivelarono discreti giocatori (Juary e Neumann), altri un flop. Il primo a firmare, in ordine cronologico, fu van de Korput,

Nella stagione 1982/1983, ogni squadra poté tesserare fino a due stranieri e dalla stagione 1988/1989 al massimo tre. A partire dalla stagione 1996/1997 non ci furono più limiti all’acquisto dei giocatori stranieri comunitari: grazie alla “legge Bosman”, il calciatore veniva equiparato ad un lavoratore qualsiasi e poteva giocare in qualsiasi campionato di un Paese membro dell’Unione europea senza limitazioni numeriche.

Dopo l’apertura delle frontiere, arrivarono in Italia campioni quanto buoni giocatori quanto meteore e bidoni. Indistintamente, anche se almeno fino alla fine degli anni Novanta arrivarono i giocatori più forti del Mondo: in venti anni, sono arrivati otto giocatori stranieri che hanno vinto dodici Palloni d’oro con squadre italiane, altri tre sono arrivati sul podio e hanno contribuito a rendere fortissime le nostre squadre di club (basti pensare al Grande slam europeo della stagione 1989/1990).

Tra il 1982 ed il 1984 arrivarono in Serie A il più forte giocatore europeo (Platini), il più forte giocatore sudamericano (Zico) ed il più forte giocatore del Mondo (Maradona). Per non parlare, nelle successive campagne acquisti, dove arrivarono giocatori di indiscusso valore tecnico.

Ha cambiato il mondo del calcio la “sentenza Bosman” che ha visto, in Italia come nel resto dei campionati dei Paesi membri dell’Unione europea, un incremento di giocatori stranieri: in questa stagione, tormentata dal Covid19, le venti squadre di Serie A contavano, all’inizio del campionato, 320 giocatori stranieri con un incremento di sedici unità rispetto all’anno prima.

Con “legge Bosman”, in Italia, abbiamo avuto squadre ricche di stranieri (due su tutte, Udinese ed Inter) e povere di talenti stranieri (leggasi il Piacenza tutto italiano tra le stagioni 1993/1994 e 2000/2001). E come sono aumentati i giocatori stranieri delle rose, sono aumentati i prezzi del cartellino e dell’ingaggio degli stessi: si è passati dai 600 milioni spesi per van de Korput e dai 250 milioni per Platini (un abisso anche solo tecnico tra i due) agli 8 miliardi pagati per Zico dall’Udinese (con la minaccia dei tifosi di passare all’Austria in caso di mancato arrivo del Galinho) ai 13 miliardi per Maradona fino ai 48 “scandalosi” miliardi pagati dall’Inter per Ronaldo Nazario. Poi si è passati, come niente, ai 90 miliardi per Vieri nell’estate 1998 fino al top dei 94 milioni di euro pagati per Higuain dalla Juventus all’ingaggio monstre di 31 milioni di euro corrisposti a Cristiano Ronaldo sempre dai bianconeri.

In questi 40 anni è cambiato tutto sotto tutti i punti di vista e grazie al calciomercato l’Italia è stata fino all’inizio degli anni Duemila il top dei top del calcio mondiale per poi entrare in un crisi (non solo economica) vedendosi superata da Inghilterra (a oggi la Premier League è il miglior campionato di calcio del Mondo, anche se siamo in attesa di ciò che causerà la Brexit al calcio d’Oltremanica), Spagna e Germania che, dal 2012/2013 al 2017/2018, ci ha tolto una squadra qualificata alla Champions League.

Oggi la Serie A è al terzo posto del calcio europeo, siamo competitivi e molti giocatori di livello altissimo hanno ripreso a scegliere il nostro massimo campionato per mettersi in gioco e far vedere la loro qualità. Ma nonostante questo ed i miliardi che girano nel mondo calcio, molti tifosi pensando all’estate 1980 non possono non pensare al ritorno dei giocatori stranieri che hanno contribuito, chi tanto chi poco chi nulla, a portare al top il nostro calcio.

Con buona pace dei “bidoni”, che hanno avuto anche loro il loro meritato quarto d’ora di notorietà.