50 sfumature di Roberto Baggio

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Italia 1990

50 sfumature di Baggio

Si dice che i cinquant’anni siano l’età dove si iniziano a fare i primi bilanci della vita: cose belle, cose brutte, cose da rifare, cose da non fare mai più. I cinquant’anni sono, per dirla alla Dante, “nel mezzo del cammin di nostra vita“. A cinquant’anni si è padri, nonni, zii. Ma si è anche ancora esempi e idoli di generazioni passate e future, con queste ultime che devono accontentarsi di guardare filmati su YouTube e di sentire i ricordi di gente che ha avuto modo di vedere giocare uno dei giocatori più forti e tifati dagli italiani, Roberto Baggio, E proprio oggi Roberto Baggio compie cinquant’anni.

Vicentino di Caldogno, ancora oggi, a tredici anni dal suoi ritiro, giocatori con la sua classe mancano come il pane. Non solo in Italia, ma anche nel Mondo.

Dalla Fiorentina alla Juve, passando per Milan e Inter

Roberto Baggio ha giocato, a parte i primi due anni di carriera in C1 con il Vicenza, sempre in Serie A e ha sempre fatto innamorare i propri tifosi: Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Ha riportato il Pallone d’oro in Italia dopo undici anni e dopo di lui solo un altro italiano ha vinto l’ambito premio di France Footbal tredici anni dopo. Stiamo parlando di “Pablito” Rossi e Fabio Cannavaro, nel 1982 e nel 2006. E loro due hanno vinto da protagonisti il Mondiale. E proprio il Mondiale manca al palmares di Baggio: terzo posto nel 1990, finalista perdente nel 1994, scottante eliminazione nei quarti in Francia nel 1998, inspiegabilmente non convocato per quello nippo-coreano di quattro anni dopo. Ma tutti hanno in mente le reti mundial del “divin codino”: il gol del 19 giugno 1990 contro la Cecoslovacchia, le cinque reti segnate nella fase ad eliminazione diretta a Usa ’94, l’ottima prova in Francia con il clamoroso gol sbagliato di pochissimi centimetri contro la Francia con il numero 18 di Maldini (la #10 era di del Piero). Un gesto atletico irripetibile con la palla uscita di pochi centimetri per quello che è considerato come il più bel non gol della sua carriera. Poteva essere convocato per Corea-Giappone, ma Giovanni Trapattoni gli preferì Montella, Delvecchio e Totti in quanto Baggio era reduce da un brutto infortunio che gli fece disputare poche partite in stagione, che nonostante il recupero record gli ha impedito di prendere parte al primo Mondiale in terra asiatica. Ma siamo sicuri che se il giorno prima delle convocazioni si fosse indetto un referendum su “Baggio al Mondiale, SI o NO”?, il quorum sarebbe stato ampiamente superato e almeno il 99% degli italiani avrebbe votato per il “SI”.

Allenatori, altra croce e delizia della ventennale carriera di Baggio: i contrasti con Lippi alla Juve e all’Inter, le diatribe con Capello e con Ulivieri, la sopportazione silenziosa con Trapattoni. Eriksson dalla Fiorentina voleva darlo in prestito al neopromosso Cesena e con Graziani arrivò fino alla finale di Coppa UEFA del 1990 contro la Juventus nel primo derby italiano in Europa. Ma anche l’amicizia e il rapporto fraterno con Mazzone a Brescia, il suo ultimo tecnico. E chissà cosa avrebbe fatto a Parma, se Ancelotti e Chiesa non si fossero opposti al suo arrivo…

Ma Baggio è stato oltre: Baggio è stato il numero 10 per antonomasia negli anni Ottanta-Novanta, il ragazzo partito dalla provincia e arrivato ad un passo dal cielo se non avesse sbagliato, proprio lui, il rigore decisivo a Pasadena un caldo pomeriggio del luglio 1994. Baggio è stato la fantasia al potere, con quel piede destro che faceva quello che voleva. E’ stato “divin codino” e “Raffaello”, ma anche “coniglio bagnato” e quello che ha cambiato tante squadre senza mai essere una bandiera. Anche perché Baggio non è una bandiera di una sola squadra, ma è stato la bandiera calcistica di un intero Paese.

Baggio debuttò nel Vicenza, nell’allora Serie C1, ad appena sedici anni, aveva già le stigmate del predestinato e fu tra gli artefici, due anni dopo, del ritorno dei veneti in Serie B. Al termine della stagione 1985/1986, subì un grave infortunio al ginocchio destro: due giorni prima aveva firmato con la Fiorentina. Una vera beffa, ma invece il presidente viola di allora, Pier Cesare Baretti, decise di aspettare il ritorno in campo del giocatore, confermandone il suo tesseramento.

L’anno dopo riuscì a debuttare in Serie A: era il 21 settembre 1986, mentre la prima rete arrivò solo il 10 maggio successivo contro il Napoli. Un gol stellare con in campo l’alter ego di Baggio, Maradona, proprio nel giorno in cui il Napoli vinse il suo primo titolo.

Baggio rimase a Firenze cinque stagioni, dove si affermò come giocatore e divenne l’idolo della “Fiesole”, segnando 55 reti in 136 partite e trascinando i viola verso i piani alti del campionato e a giocare la finale UEFA 1990 contro la Juventus in un emozionante doppia sfida.

L’estate 1990, oltre ad essere quella del Mondiale italiano, è diventata celebre per il passaggio dello stesso Baggio alla Juventus. Tutta la Firenze calcistica si mobilitò affinché il suo numero 10 non passasse agli acerrimi rivali juventini, ma il club gigliato lo cedette per circa 25 miliardi di lire.

Il 6 aprile 1991, giorno della partita di ritorno in riva all’Arno, Baggio fece una partita molto fiacca e si rifiutò di calciare un calcio di rigore. Dal dischetto il suo sostituto (Luigi de Agostini) fallì e la Juventus perse la partita 1 a 0. Baggio fu sostituito un po’ tra i fischi ed un po’ tra gli applausi (il leit motif di tutta quella partita), ma non appena indossò il giaccone e uscì verso gli spogliatoio, qualcuno lanciò in campo una sciarpa della Fiorentina e lui, senza battere ciglio, si piegò e se la mise al collo. Un gesto che in pochi forse avrebbero fatto, ma che lui ha fatto senza pensarci due volte.

In mezzo al passaggio alla Vecchia Signora, ci fu, come detto, il Mondiale di Italia ’90. Dopo 56 anni, l’Italia si apprestava ad ospitare la massima manifestazione calcistica e Baggio, insieme ad una rosa di campioni (da Zenga a Baresi, da Bergomi a Berti, da Vialli a Giannini) fu convocato dall’allora Commissario Tecnico Azeglio Vicini per rappresentare gli azzurri. L’Italia si classificò al terzo posto e Baggio siglò due reti: la prima contro la Cecoslovacchia (nella seconda giornata) e la seconda nella finale per il terzo posto contro l’Inghilterra. Il Mondiale per Baggio è stata un’ottima vetrina ed ancora oggi la rete contro la Cecoslovacchia è considerata come una delle più belle della storia del Mondiale.

Baggio con la maglia bianconera, come si diceva, esplose: uno scudetto, una Coppa Italia, una Coppa UEFA ed il Pallone d’oro 1993 davanti all’interista Dennis Bergkamp. Nello stesso mese vinse anche il FIFA World Player, primo italiano a riuscirci. Nelle cinque stagioni a Torino, Baggio giocò 200 partite segnando 115 reti, diventando un idolo per la curva “Scirea”.

Ma è al Mondiale 1994 che Baggio lasciò davvero il segno, nel bene e nel male: dopo tre partite in cui né lui né gli azzurri convinsero, Baggio salì in cattedra dagli ottavi di finale contro la Nigeria, che eliminò grazie ad una sua doppietta. Nei quarti segnò una bella rete contro la Spagna, mentre in semifinale piegò la Bulgaria con una splendida doppietta e l’Italia si qualificò per la finale. A Pasadena gli azzurri affrontarono il Brasile di Bebeto e Romario. La partita terminò 0 a 0 ai supplementari, con un Baggio non in condizione. Per la prima volta, la finale di un Mondiale veniva assegnata ai rigori. L’ultimo rigore per tenere in corsa gli azzurri lo calciò il numero 10 allora juventino: palla alta e brasiliani campioni del Mondo. Fu uno psicodramma, non solo perché Baggio di rigori ne sbagliò pochi in carriera, ma perché sbagliò proprio nella partita più importante della sua carriera. E disse che mai in carriera aveva calciato un rigore alto. Nel dicembre si classificò al secondo posto nella classifica del Pallone d’oro dietro al bulgaro Hristo Stoičkov: se l’Italia avesse vinto il Mondiale, sicuramente Baggio avrebbe rivinto il premio, senza se e senza ma.

La stagione post Usa ’94 è stata l’ultima in maglia bianconera: un infortunio che lo tenne ai box per molti mesi, la contemporanea esplosione di Alessandro del Piero ed il conflitto con Lippi, sancirono l’addio del “divin codino” a fine stagione .

Nell’estate 1995 passò al Milan dove rimase due stagioni senza particolari squilli, complici anche un paio di infortuni. Con i rossoneri vinse il suo secondo scudetto ma, come nel caso della Juventus, il suo apporto non fu determinante. Ebbe screzi anche con Fabio Capello che non lo vedeva nei suoi schemi e nell’estate 1997 decise di ripartire dalla provincia, da Bologna.

Nella città emiliana Baggio venne accolto come un messia, con la speranza di poter riportare in alto la squadra rossoblù dopo anni di vacche magre (e pensare che quella stagione fu anche protagonista di uno spot in cui faceva il verso di…una mucca). Il miracolo si compì a metà: in trenta partite di campionato, Baggio segnò la bellezza di 22 reti, suo record personale di sempre, il club di Gazzoni Frascara si qualificò per la Coppa Intertoto ed il giocatore fu convocato da Cesare Maldini per Francia ’98. L’unico inconveniente? Il rapporto conflittuale con Renzo Ulivieri, tanto da spingere l’attaccante vicentino a lasciare il ritiro dopo aver saputo che contro la Juventus, nel match di andata, non avrebbe giocato.

Maldini, come detto, lo convocò per il Mondiale, ma il suo ruolo sarebbe stato quello di riserva. “Riserva” di quel giocatore che aveva sancito (tatticamente) il suo addio alla Juventus, Alessandro del Piero. I due giocatori arrivarono al Mondiale in condizioni diverse: lo juventino reduce da un infortunio (la sua convocazione è stata in bilico), il numero 10 del Bologna carico di voglia di fare bene e senza infortuni alle spalle. Ed i risultati furono tutti dalla sua: per del Piero zero reti, due reti per Baggio. Con la rete al Cile, Baggio divenne il primo calciatore italiano a segnare almeno una rete in tre mondiali consecutivi.

L’estate successiva a quel Mondiale ci fu un altro cambio di casacca per Roberto Baggio: destinazione Inter, accanto a gente come Ronaldo, Vieri, Zamorano e Zanetti. Per lui stravedeva il presidente Massimo Moratti, che sperava che finalmente la sua Inter potesse vincere quel tanto agognato scudetto. Rimase in nerazzurro due stagioni: la prima fu quella dei “quattro allenatori” e della mancata qualificazione europea, mentre la successiva portò la Beneamata a qualificarsi alla Champions League dopo aver vinto lo spareggio contro il Parma. Man of the match, Baggio: due reti e Inter che tornò in Europa.

Ma la scelta era tra lui e Lippi: il club proseguì con l’ex tecnico juventino, mentre Baggio, a 33 anni, iniziò un’altra avventura in provincia, nel neopromosso Brescia di “Carletto” Mazzone.

Nella città lombarda venne accolto con ancora più calore rispetto a Bologna e tra le “rondinelle” ringiovanì: in quattro stagioni, segnò 46 reti, portando il piccolo Brescia  addirittura a giocarsi l’Europa: 7° posto il primo anno (ancora oggi il miglior piazzamento in massima serie delle “rondinelle”) e qualificazione alla Coppa Intertoto. L’anno successivo arrivò fino alla finale della stessa coppa, dove sfidò il Paris Saint Germain. Davanti ad un “Rigamonti” stracolmo per il match di ritorno, il Brescia si giocò il posto in Coppa UEFA, ma quel Brescia molto “operaio” fu eliminato dal club francese che aveva giocatori con più esperienza europea rispetto alle “rondinelle”.

Trapattoni pensò di convocarlo per il Mondiale 2002: per la prima volta un giocatore del Brescia poteva essere convocato in una manifestazione iridata. L’anno prima, Baggio fu anche il primo giocatore bresciano ad entrare nella classifica del Pallone d’oro (25° nell’edizione 2001, anche se ottenne un solo voto).

Ma la stagione che avrebbe portato al Mondiale vide Baggio subire ben tre infortuni: due distorsioni ravvicinate e la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro con lesione del menisco interno. Dopo appena 77 giorni dal terzo, e più grave infortunio, Baggio miracolosamente riuscì a tornare a giocare. Al termine di quel campionato segnò comunque 11 reti in dodici partite, ma per il numero 10 del Brescia non ci fu la tanto sospirata convocazione mondiale.

Nell’estate 2003, le “rondinelle” si qualificarono per la seconda volta all’Intertoto, ma vennero subito eliminati al terzo turno dal più quotato Villarreal.

La stagione 2003/2004 fu la sua ultima stagione, dopo di che si sarebbe ritirato: il 14 marzo, contro il Parma, siglò la sua duecentesima rete in Serie A e alla 33a giornata, contro la Lazio, siglò la sua ultima rete, la numero 205.

Una settimana dopo, a san Siro, il 16 maggio, si giocò l’ultima partita di Baggio: avversario il Milan e all’85’ Gianni de Biasi lo sostituì, concedendogli l’ennesima (ma ultima) standing ovation della carriera. Da quel momento, il Brescia ritirò la maglia numero 10. Standing ovation che avvenne anche il 28 aprile 2004, a cinque anni dalla sua ultima partita in Nazionale, quando, al “Ferraris”, venne organizzata un’amichevole per tributargli l’addio ai colori azzurri. Al minuto 86 il “Trap” lo sostituì e tutto lo stadio genovese e (per osmosi) tutti gli italiani nelle loro case si alzarono in piedi per salutare il fu “Raffaello” del calcio nostrano. Ironia della sorte: colui che gli impedì di partecipare al quarto Mondiale consecutivo gli fece tributare una standing ovation.

Il giocatore vicentino è riconosciuto come il calciatore italiano più forte di sempre: fantasista, seconda punta, “esterno alto in un attacco a tre”, intuitivo, dribblatore per vocazione, campione per antonomasia. Di Baggio, a distanza di tredici anni dal suo ritiro, si ricordano ancora oggi i virtuosismi (dalla rabona-assit in Inter-Venezia per Zamorano al gol scartando Van der Saar dopo aver stoppato la palla al volo contro la Juventus, per esempio, quando militava nel Brescia), le sue giocate balistiche (vedasi alla voce “calci piazzati”), una tecnica senza eguali, un finalizzatore fatto e finito, il punto di riferimento in attacco, i fraseggi con i compagni che invitava al gol. Unica pecca, anzi due: i tanti infortuni che lo hanno colpito ed un carattere non proprio facile da gestire. Non perché fosse cattivo, ma perché troppo spigoloso, mite e troppo “sulle sue”.

Roberto Baggio è stato il giocatore italiano più celebre, e celebrato, nel Mondo: il codino, la fascia da capitano con i simboli buddisti, le punizioni, l’88,5% di realizzazione nei calci di rigore, le curve che lo idolatravano, il Pallone d’oro, i conflitti con quasi tutti gli allenatori che ha avuto. Un giocatore a tutto tondo.

Nei suoi diciotto anni da calciatore professionista, Baggio scrisse bellissime pagine di calcio: dall’esordio nel Vicenza all’esplosione nella Fiorentina, dalla consacrazione nella Juventus agli alti (pochi) e bassi (tanti) con le milanesi, alla doppia rinascita in provincia (con Bologna e Brescia).

Dalla sua ultima partita con il Brescia (per sei anni) Baggio è stato fuori dal calcio. “Scelta personale”, si direbbe, ma nel 2010 l’ex “Raffaello” decise di rimettersi in discussione accettando la nomina a Presidente del Settore tecnico della Federazione, mentre due anni dopo conseguì il patentino di allenatore. Nel gennaio 2013 decise di dimettersi da ogni incarico per una serie di incomprensioni con i vertici federali.

Baggio rientra nell’élite di quei giocatori che in Serie A non solo hanno segnato cento reti, ma che ne hanno segnate duecento: Baggio come di Natale, Meazza, Altafini, Nordhal, Totti e Piola. Lui con il gol ha avuto un certo rapporto privilegiato: gol di destro, sinistro, rigore, punizione dal limite, punizione dalla lunga distanza. E anche in Nazionale ha dimostrato di andare d’accordo con il gol: nove reti in tre Mondiali (record condiviso con Christian Vieri), unico a segnare almeno una rete in tre Mondiali diversi e quarto marcatore storico con la maglia azzurra con 27 reti, a otto reti dal primato di Gigi Riva.

Oggi Roberto Baggio si gode i figli, il matrimonio storico con la storica fidanzata Andreina e si gode la sua pensione. Ne ha fatta di strada il ricciolino ragazzino che dai campi della provincia vicentina è riuscito a realizzare il sogno di diventare un calciatore e di diventare un eroe universale noto in tutti gli angoli del pianeta.

E chissà se mai un giorno deciderà di rientrare nel mondo del calcio. Magari con lo stile del gol che fece quella calda sera di metà giugno contro la Cecoslovacchia.

Tutti ce lo auguriamo. E nel frattempo, auguri Roberto Baggio. Cinquanta di questi cinquant’anni.