Football Legend Carlo Mazzone

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 Mazzone, il secondo padre per Baggio e Totti

L’Italia è terra di santi, poeti, navigatori e…campanilismi. Da sempre il nostro Paese, sin dai tempi dei guelfi e ghibellini, è caratterizzato da lotte fra il tifare la propria “parrocchia” e l’andare contro un’altra. Ovviamente questa rivalità tocca l’apice nel calcio, soprattutto nei derby cittadini e regionali.

Alle nostre latitudini c’è una persona che ha permesso di superare il concetto di campanilismo, perché amata da tutti, dai tifosi delle squadre che ha allenato a quelli avversari. Stiamo parlando di Carlo Mazzone da Roma, 80 primavere festeggiate ieri e uomo capace di aver trasformato il provincialismo (inteso come allenare squadre di città di provincia) in un bene prezioso, nonché rappresentante massimo di un calcio cui molti guardano con tanta nostalgia.

Ancora oggi parlare di lui significa ricordare un Uomo con la U maiuscola, un vero talento della panchina ed un vero padre di secondo grado per la maggior parte dei calciatori che ha allenato. Tre su tutti: Francesco Totti, Roberto Baggio e Josep Guardiola. Il “pupone” è diventato tale proprio grazie al sor Carletto, l’ex “codino” quando approdò al Brescia nell’estate 2000 pose una clausola particolare nel suo contratto dove l’esonero del tecnico trasteverino lo avrebbe portato a rescindere automaticamente, mentre l’ex tecnico del Barcellona ha sempre detto di aver ammirato le modalità di allenamento di Carlo Mazzone. I due grandi numeri 10 del calcio italiano hanno espresso il loro ringraziamento verso di lui sui social network e sulle colonne de “ll Corriere dello Sport”. Come dire: grazie di tutto, mister.

Eh sì perché Mazzone, carattere irruente e uomo mai banale, ha scritto una corposa pagina di sport da tramandare ai posteri: genuinità unita a caparbietà, gesti plateali al ricordo di tutti i tifosi che lo hanno visto in tuta a bordo campo ad incitare e spronare i propri calciatori. E la leggenda di Mazzone è diventata tale il 18 marzo 2006, quando raggiunse Nereo Rocco al primo posto nella classifica degli allenatori con più panchine in Serie A (787 panchine), ma il record Carletto lo portò alle attuali settecentonovantacinque il 14 maggio successivo: un primato incredibile che difficilmente verrà eguagliato nel breve periodo. Anche se a dire il vero, la sua ultima partita lo ha portato alla stratosferica somma di 1.278 panchine professionistiche totali.

Milleduecentosettantotto panchine sono davvero tante per un uomo che mastica calcio dal 1959, quando giocò due partite con la Roma per poi passare alla Spal, al Siena e all’Ascoli, dove giocò per nove anni consecutivi, tutti nell’allora Serie C.

E proprio al termine della sua esperienza da calciatore che l’allora presidente dell’Ascoli, il celeberrimo Costantino Rozzi, gli chiese di allenare la squadra bianconera. Da allora nacque il mito di Carletto: dopo quattro stagioni la squadra fu promossa in Serie B e due anni dopo arrivò la prima, storica, promozione in Serie A dei marchigiani. Massima serie che riuscì a confermare subito, passando poi alla Fiorentina.

A Firenze rimase tre stagioni, per poi approdare al neopromosso Catanzaro che salvò in entrambe le stagioni cui allenò la prima compagine calabrese in massima serie.

Da allora iniziò un’importante girandola di panchine: Bologna (tre volte, quattro stagioni), Lecce (quattro stagioni), Cagliari (tre stagioni in due momenti diversi); Roma (tre stagioni), Perugia (una stagione) e Brescia (tre stagioni), con le brevi esperienze di Pescara (Serie B), Napoli e Livorno.

La sua bacheca non presenta scudetti e coppe nazionali, se non una Coppa di Lega Italo-Inglese ed una Coppa Intertoto conquistate con Fiorentina e Bologna. Non coppe prestigiosissime, ma pur sempre titoli alzati al cielo davanti ai propri tifosi. Ma il top del Mazzone allenatore furono le tre stagioni di Brescia: nella città lombarda il mito di Mazzone divenne leggenda. In tre stagioni, i biancoblu si classificarono settimi, tredicesimi e noni con due partecipazioni alla Coppa Intertoto, con la doppia finale dell’agosto 2001 contro il Paris Saint Germain.

Ma quando si parla di Carlo Mazzone e di Brescia, la mente vola immediatamente a quel 30 settembre 2001, quando si disputò il derby lombardo fra le “rondinelle” e l’Atalanta, una di quelle partite dove il campanilismo diventa una scienza esatta. Le due tifoserie sono rivali da sempre e i tifosi atalantini sono rivali della Roma e Mazzone è romano ed è stato allenatore dei giallorossi in passato. Per tutta la partita, dal settore ospiti del “Rigamonti”, volarono insulti verso il tecnico trasteverino. La partita si stava mettendo male per Baggio e compagni, con la Dea che chiuse il primo tempo sul punteggio di 3 a 1. E i cori e gli insulti personali contro Mazzone stavano diventando insopportabili. Baggio al minuto 75 diede ossigeno alla sua squadra con la sua seconda rete personale. Mazzone, stufo degli insulti, si rivolse verso la curva ospite e disse che se il Brescia avesse pareggiato sarebbe corso da loro. Quel labiale fu immortalato dalle tv presenti allo stadio.

Il Brescia iniziò a macinare, provando in più occasioni a superare Taibi. E Roberto Baggio (che come ricordavamo ha avuto un legame speciale con Mazzone), al minuto 92, in pieno recupero, segnò la sua terza rete con una super punizione. 3 a 3: Brescia in festa, Atalanta che gettò alle ortiche una partita vinta e…Carlo Mazzone che corse davvero sotto la curva atalantina, fino alle recinzioni di protezione. Un uomo di 64 anni si fece cinquanta metri di corsa perdifiato trattenuto a fatica da due collaboratori e che non riuscirono a fermarlo. La sua corsa con la tuta è ancora oggi ricordata alla pari del gol che lo stesso Baggio siglò contro la Cecoslovacchia ad Italia ’90.

Ma Mazzone è stato anche altro: è stato colui che ha portato l’Ascoli in Serie A per la prima volta e che ha fatto debuttare in massima serie dal 1′ minuto Totti; è stato colui che ha sdoganato la tuta in panchina e che ha fatto della salvezza a fine stagione la sua unica ragion d’essere. E’ anche colui che ha ispirato tantissimi allenatori, che in passato erano stati suoi giocatori. Come il già citato Pep Guardiola, l’inventore del tiki taka, che ebbe Mazzone come mister al Brescia, cui scrisse un biglietto dopo aver vinto la Champions 2009 con il Barcellona: il “filosofo” di Santpedor ha sempre ammesso di essere grato al tecnico trasteverino per essere diventato un allenatore.

E’ stato un peccato non averlo mai visto su una panchina di una grande squadra, eppure per lui gli scudetti erano le salvezze o le promozioni in Serie A. Oppure anche riportare una squadra dopo ventuno anni anni in Europa (il Cagliari nella stagione 1992/1993), portarne un’altra fino alla semifinale di Coppa Uefa (il Bologna, nella stagione 1998/1999) e un’altra per la prima volta a giocare sui campi europei (il Brescia in Intertoto).

Questo è stato “er Sor Magara”, uno che ha sempre parlato pane al pane e vino al vino, uno che non è mai sceso a compromessi, uno che ha fatto capire che il calcio è lo sport più bello di tutti grazie alla sua semplicità e genuinità, uno che nonostante la romanità ha scelto Ascoli non solo come buen ritiro ma come seconda casa, lontano dai riflettori ma in pace con se stesso. E sabato, prima del fischio di inizio del match tra il “picchio” e il Cittadella, è sceso in campo tra l’ovazione dei suoi tifosi: da quelle parti Mazzone è ancora un mito e la prima promozione in Serie A e il sesto posto nella stagione 1981/1982, a tre punti dalla qualificazione in Coppa Uefa, sono storiche.

Ma Mazzone è stato amato, come detto, ovunque è andato ad allenatore. Come i tre anni alla Roma, dove il miglior piazzamento furono due quinti posti. Poteva fare magari di più, ma per lui, tifoso giallorosso ed ex giocatore della “lupa”, aver allenato la squadra della sua città è stato un grande privilegio. Ma lo è stato anche per i tifosi e per gli amanti del calcio, visto che se Totti oggi ha giocato 611 partite in Serie A con la Roma ed è diventato un giocatore di fama planetaria, lo deve a colui che lo ha fatto debuttare il 6 febbraio 1994, Carlo Mazzone.

Siamo nell’epoca della quarta rivoluzione industriale, della fibra ottica, dei social network e delle macchine Euro 6, del calcio delle pay tv, degli scarpini colorati, dei calciatori fisicati e tatuati, ma Carlo Mazzone e la sua corsa contro i tifosi dell’Atalanta rimarranno indelebili nella storia di questo sport. Ma ancora di più rimarrà nell’immaginario collettivo un uomo che ha scritto, nel suo piccolo, una grande pagina del nostro calcio.