Le Grandi Incompiute, l’Olanda del 1974

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Speciale “Le Incompiute”, oggi parliamo dell’Olanda di Cruyff

Continua il nostro viaggio alla scoperta di quelle Nazionali che si sono fermate ad un passo dalla gloria, questa volta è il turno dell’Olanda, finalista-perdente del Mondiale del 1974. Cruijff, calcio totale, “Arancia meccanica” e ancora la Germania ovest a spezzare i sogni di gloria di un’altra Nazionale che ha scritto pagine indelebili della storia del calcio.

Calcio olandese al top d’Europa nei primi anni Settanta

Nel 1971 Stanley Kubrik stupì il Mondo con un film iconico, “Arancia meccanica”, con protagonista Malcolm McDowell. Una pellicola fuori dal comune per i tempi di allora e molto controverso.

Calcisticamente i primi anni Settanta videro il dominio di una Nazione allora fuori dall’agone del grande calcio internazionale: i Paesi Bassi, meglio conosciuti come “Olanda”, dal nome di una sua regione.

Tra il 1970 ed il 1973, Feyenoord e Ajax, squadre rappresentanti Rotterdam e Amsterdam, si spartirono le quattro Coppe dei Campioni di allora: una i primi, tre consecutive gli aiacidi.

E proprio in quegli anni, anzi nel 1974, il Mondo scoprì una Nazionale che giocava un calcio particolare dove nessuno aveva un ruolo definito, dove un centrocampista si trovava ad attaccare e a difendere, dove un attaccante non sempre doveva attaccare, ma sarebbe stato opportuno che difendesse. Insomma, un calcio lontano dall’italiano “catenaccio”, un calcio fantastico e magico. Questo tipo di calcio prese spunto da un’altra Nazionale che, venti anni prima, si era arresa solo sul più bello nella finale di un Mondiale. Quella Nazionale era quella ungherese, l’Arancysapat, e il tecnico Sebes praticava il “calcio socialista”.

Venti anni dopo, un ex attaccante scuola Ajax, con cui giocò dodici anni consecutive, chiamato Marinus Michels (meglio noto come Rinus), scompigliò le carte quando divenne anche allenatore dei biancorossi, illuminando il Mondo del pallone con un nuovo tipo di calcio dove tutti gli undici giocatori dovevano fare undici ruoli diversi. Era il voorfootball, il calcio-totale. Da allora il mondo del calcio cambiò. Per sempre.

Michels allenò l’Ajax tra il 1965 ed il 1971, vincendo quattro titoli nazionali, tre Coppe nazionali e nel 1971 portò l’Ajax per la seconda volta in finale di Coppa dei Campioni a distanza di due anni dalla prima, persa contro il Milan. In quella finale gli olandesi ebbero la meglio sul Panathinaikos allenato da Ferenc Puskás, una delle colonne della Arancysapat (tu guarda il destino), vincendo nettamente per 2 a 0. L’Ajax aveva bissato il titolo continentale del Feyenoord.

E proprio le due squadre diedero alla Nazionale in quegli anni i migliori giocatori: da Haan a Willem van Hanegem, da Ruud Krol a Rinus Israël, da Pietr Keizer a Wim Jansen, da Johan Neeskens e Johnny Rep a Theo de Jong e Wim Rijsbergen, passando per il miglior giocatore di tutti in assoluto, Hendrik Johannes Cruijff detto Johan, figlio di un verduriere e della donna delle pulizie dello stadio “de Meer”, dove giocava il club nato nel 1900. Le gioie calcistiche dell’Ajax prima e della Nazionale oranje poi passarono dai piedi (e dall’intelligenza tattica) di questo giocatore classe 1945 molto anticonformista e dotato di un carisma, in campo come nello spogliatoio.

L’Ajax vinse la Coppa dei Campioni anche nel 1972 e nel 1973 sconfiggendo in finale Inter e Juventus e nel 1972 la Coppa Intercontinentale. Nel 1972 l’Ajax compì il secondo triplete della storia del calcio (titolo nazionale, coppa nazionale, Coppa dei Campioni). Un dominio senza discussioni. Quell’Ajax fu innovativo, giocava un calcio mai visto, ma anche mai pensato prima. E ovviamente il successo fu portato anche in Nazionale.

Il calcio-totale. E il calcio non fu più lo stesso

Gustav Sebes è stato l’inventore del “calcio socialista”. Michels andò oltre, inventando un nuovo stile di gioco dove non solo un giocatore doveva fare altri ruoli, ma che doveva prendere il ruolo del compagno che lasciava scoperto in campo: la squadra non modificava la sua impostazione e ognuno poteva fare in una partita il difensore come il centrocampista come l’attaccante. Questo modulo mise in difficoltà gli avversari perché in ogni momento questi si trovavano in fuorigioco ed il marcatore non si scostava dall’avversario, con una marcatura spasmodica. Per di più, e qui anche la novità, la difesa del calcio totale era molto alta (almeno 20 metri) e il portiere si trovava a fare l’ultimo difensore e doveva avere un buon controllo con i piedi.

Il tecnico olandese lo applicò all’Ajax fino a quando non lasciò Amsterdam per Barcellona e poi in Nazionale. Nell’Ajax post Michels anche il suo erede, Ștefan Kovács, lo usò e vinse altre due Coppe dei Campioni. Quel modulo e quella filosofia di gioco iniziò ad uscire dai confini dei Paesi Bassi e iniziò ad essere considerato anche all’estero.

Temporalmente il calcio totale di Michels visse il suo momento top tra il 28 maggio 1969 (finale di Coppa dei Campioni persa al “Bernabeu” contro il Milan) al 7 luglio 1974, giorno della finale del Mondiale tedesco perso contro i padroni di casa. In pratica, con l’ascesa nell’olimpo dei grandissimi del calcio di Johan Cruijff.

Si disse (e si scrisse) che solo in un Paese anticonformista come i Paesi Bassi potesse prendere piede un’idea di gioco così fuori dal comune (per i tempi) e lasciare con la bocca aperta tutti quanti.

Il 4-3-3 olandese (ma anche aiacide) nonostante la vittorie nei club, fu perdente a livello di Nazionale visto che anche in Argentina quattro anni dopo arrivò in finale al Mondiale, ma venne sconfitto nell’ultima partita.

Dopo l’addio di Michels (1971 Ajax, 1974 Nazionale) e la fine del periodo d’oro dell’Olanda, nella terra dei polder il calcio non diede giocatori all’altezza, tanto che solo nel 1988 i Paesi Bassi riuscirono a vincere il loro primo titolo (l’Europeo) grazie ad una generazione di calciatori molto forti guidati da Marco van Basten e Ruud Gullit con in panchina ancora una volta Michels, mentre a livello di club, il PSV Eindhoven vinse (ai rigori) la Coppa dei Campioni solo nel 1988 e l’Ajax di van Gaal vinse la Coppa Uefa nel 1992 (diventando la seconda squadra europea a vincere tutte le coppe per club) e poi la Champions League nel 1995, arrivando in finale la stagione successiva e in semifinale l’anno dopo ancora. Dopo di allora, a parte il secondo posto mondiale in Sudafrica e il terzo posto quattro anni dopo in Brasile della Nazionale, solo il Feyenoord è riuscito a vincere una coppa europea (la Coppa Uefa nel 2001). Per il resto, nessun’altra squadra vinse titoli o anche solo arrivò in finale. Quell’Ajax e la Nazionale olandese furono un qualcosa di incredibile.

Germania 1974 e quella Coppa del Mondo accarezzata dall’Olanda per soli 24′

Il 1974 era anno di Mondiale: ad organizzarli era stata chiamata la Germania Ovest, da tempo ormai tra le grandi Nazioni del Mondo a ventinove anni dalla fine della guerra. La X edizione dei Mondiali di calcio vide il ritorno dopo trentasei anni (e sette edizioni) dei Paesi Bassi, una Nazione che dopo anni di vacche magre ed una Nazionale lontana anni luce dal calcio che contava si poneva calcisticamente all’avanguardia.

Cruijff e soci furono inseriti nel girone 3 con Uruguay, Svezia e Bulgaria: gli olandesi e gli svedesi passarono il turno e la squadra di Michels si capì fin da subito che aveva una marcia in più rispetto alle altre quindici Nazionali partecipanti.

La prima partite vide l’Olanda vincere 2 a 0 contro i sudamericani, pareggiare 0 a 0 contro la Svezia e vincere a mani basse (4 a 1) contro i bulgari: i Paesi Bassi vinsero il girone e passarono al secondo girone insieme ai gialloblu. Per la prima volta, gli addetti ai lavori misero gli oranje tra le possibili finaliste visto il bellissimo gioco espresso fino a quel momento.

Nel secondo girone eliminatorio, gli orange furono inseriti in un girone molto duro con i campioni del Mondo uscenti del Brasile, l’Argentina e la sorprendente Germania democratica al debutto mondiale (e con lo scalpo dei “cugini” occidentali nel primo girone eliminatorio). Qui la musica cambiò e il calcio totale toccò il suo apice: 4-0 all’Argentina, 2 a 0 ai tedeschi dell’Est e 2 a 0 senza appello al Brasile di Rivelino, dove bastava anche solo un pareggio ai Michels boys.

La partita dove il calcio-totale fu all’ennesima potenza fu contro l’Argentina: 90′ di pressing, trappola del fuorigioco usata in maniera costante, scambi di posizione in campo dei giocatori con dieci giocatori in continuo movimento. La squadra attaccava, ma poco dopo si difendeva e viceversa: l’Argentina di René Houseman fu in difficoltà dal primo all’ultimo minuto dell’incontro.

Il migliore in campo fu Johan Neeskens, vero uomo ovunque, ed in rete andarono Cruijff (con una doppietta), Krol e Rep. Se fosse finita con uno scarto di reti maggiore nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Risultato finale: Olanda punti 6 punti, Brasile quattro, Germania est e Argentina uno. I verde-oro giocarono la “finalina” contro la Polonia, seconda nell’altro girone eliminatori vinto dalla Germania ovest davanti a Svezia e Jugoslavia. Per i tedeschi occidentali fu la seconda finale a distanza di venti anni dalla precedente, mentre per gli olandesi fu la prima finale mondiale.

Il 7 luglio 1974 l’”Olympistadion” fu il teatro di una partita storica. Quel giorno di sfidarono Cruijff e Beckenbauer, i capitani della due Nazionali, e vincitori in due di tre Palloni d’oro, Neeskens e Gerd Müller (Pallone d’oro nel 1970), Rep e Vogt, Hoeness e Krol, Rensembrik e Breitner. Ma soprattutto due modi diversi di intendere il calcio, Michels da una lato e Helmut Schön dall’altro, la novità contro il vecchio.

Pronti via: rigore per l’Olanda. Dopo 1’18” (e quindici tocchi consecutivi senza far toccare palla all’avversario) gli olandesi ebbero il primo rigore della storia di una finale di un Mondiale: fallo di Hoeness su Cruijff. Dal dischetto gol di Neeskens. La partita pareva indirizzarsi verso gli oranje.

Pareva, perché 24 minuti dopo l’arbitro inglese Taylor diede un penalty per la Germania ovest. Gol di Breiter e il Mondo si apprestava a gustarsi una nuova possibile“partita del secolo”. Al minuto 43′ il gol del 2 a 1 di Muller, il “Cruijff teutonico”, fece crollare le certezza olandesi. Con quel risultato si chiuse la prima frazione di gioco e con quel risultato di arrivò al triplice fischio finale: la Germania ovest successe al Brasile di Pelè nell’albo d’oro del Mondiale, raggiungendo Uruguay e Italia nel computo di due Mondiali vinti.

L’Olanda per tutta la partita non mollò il colpo, ma la sua pecca fu quella di essersi specchiata troppo e di non aver chiuso la partita: la “dea Eupalla” le aveva messo i bastoni nelle ruote.

Quante analogie con l’Ungheria del 1954: la squadra più forte del   Paese e d’Europa che aveva fornito la maggioranza dei giocatori,il primo gol dopo due minuti (senza far toccare palla all’avversario), il pareggio inaspettato dell’avversario, il forte impegno profuso nei 90 minuti e ancora una volta la Germania ovest che tarpava le ali ad una squadra leggendaria.

Dove starebbe la leggenda in una squadra che perde? Semplice, con l’Olanda e il calcio totale, il risultato era sì importante, ma era importante la modalità in cui si otteneva.

E avere una Nazionale dove il portiere giocava costantemente oltre l’area di rigore a mo’ di stopper, con i compagni di movimento che si scambiavano i ruoli…beh, mai nessuna squadra lo aveva fatto in maniera cosi spudorata. Peccato solo che il bel gioco non coincise con la vittoria (ciò che caratterizza il calcio e tutti gli sport).

Quattro anni dopo l’Olanda, dopo il fallimentare Europeo del 1976 in Jugoslavia (terzo posto finale), si qualificò per il controverso Mondiale argentino, ma la squadra era vecchia e non poteva contare sull’apporto di Cruijff ritiratosi al termine delle qualificazioni per quel controverso Mondiale che forse spinse il campione olandese a boicottarlo con la scusa del ritiro.

Ed ancora una volta gli olandesi furono battuti dalla Nazione organizzatrice della manifestazione che, per (tanti) motivi politici e (pochi) sportivi doveva vincere il titolo.

Rinus Michels, il maestro totale

I punti di forza di quella Nazionale furono l’agonismo sfrenato, il giocare senza paura e fare un pressing asfissiante all’avversario per metterlo in confusione e per mettergli ansia (vedere Olanda-Argentina per farsi un’idea). Unita al fatto che, come per il caso dell’Ungheria, Rinus Michels poté contare su una nidiata di talenti che l’Olanda poté ammirare solo tre lustri dopo con la vittoria dell’Europeo tedesco.

Nel 1971, subito dopo la vittoria della prima Coppa dei Campioni aiacide, volò al Barcellona dove cercò di creare una squadra importante. Non ci riuscì in toto, vincendo solo una Liga e una Coppa di Lega. Eppure anche in Spagna, il suo Barcellona giocava un signor calcio. Chi era il faro di quel Barcellona? Johan Cruijff, “figlioccio” di Michels. Passato in blaugrana dopo la corte serrata del Real Madrid, Cruijff per motivi politici e personali decise di essere allenato da Michels. Ad indurlo al passaggio in Catalogna fu il suo orgoglio, dopo aver saputo che i suoi compagni dell’Ajax non lo avevano eletto capitano per la stagione 1973/1974, conscio del fatto che da sempre la squadra non aveva un capitano fisso.

Per il tecnico di Amsterdam, il calcio totale, come hanno riportato Buffa e Pizzigoni nel loro “Storie mondiali”, non era altro che flessibilità di ruolo e di funzioni dove tutti dovevano sapere giocare in qualsiasi ruolo del campo e tutti dovevano avere la stessa velocità di pensiero.

Come fece però Michels ad allenare l’Olanda se allenava il Barcellona? Ebbe una sorta di dispensa e poté guidare i “tulipani” alla ricerca del loro primo allora mondiale dopo anni di magra, tanto che mancavano dal Mondiale dall’edizione del 1938, quando uscirono agli ottavi di finale.

La Nazionale orange del 1974 era composta da tredici giocatori (su ventidue) provenienti da Ajax e Feyenoord, due squadre da sempre rivali per motivi sociali e politici, tanto che le partite fra le due squadre sono fra le più attese (e temute) in tutto il Paese.

Rinus Michels riuscì a far andare d’accordo le due anime della sua Nazionale anche attraverso una controversa decisione: portare in ritiro con la Nazionale le mogli e le compagne dei giocatori. Un oltraggio alla decenza si diceva in quegli anni, eppure i giocatori non ne risentirono mai le conseguenze, giocando ancora meglio. E poi i capelli lunghi e le basette lunghe, le catene al collo: anticonformismo e rotture di una serie di regole che fecero epoca.

Il calcio totale fu un fulmine a ciel sereno in un mondo del calcio allora ancorato al vecchio modo di intendere quello sport (difesa alta e palla lunga) dove non c’erano prime donne, ma ben undici giocatori che giocavano uniti con al primo posto il divertimento e la concretezza. Peccato che il calcio totale è ricordato anche come un modo di vedere il calcio in maniera troppo altezzosa e alla fine perdente. Ma un’altezzosità ed un concetto di perdente che cambiarono il calcio per sempre.

Johann Cruijff, il profeta del gol

Il quattordici è il numero delle stazioni della Via Crucis, nella smorfia rappresenta l’ubriaco e nel gioco del calcio, prima dell’avvento delle maglie personalizzate, era il numero di maglia di uno dei giocatori che partiva dalla panchina. Un solo giocatore è stato titolare con il numero 14, Johan Cruijff. Johan Cruijff, scomparso il 24 marzo dello scorso anno, è considerato come uno dei calciatori più forti del Mondo, il top level di tutti gli anni Settanta, l’emblema della favola dell’Ajax e della Nazionale olandese del calcio-totale.

A 16 anni era già la punta di diamante delle giovanili biancorosse e l’anno dopo debuttò in Eredivisie, la massima serie olandese. Non era un grandissimo Ajax quello, almeno fino al gennaio 1965 quando arrivò Rinus Michels, già giocatore tra il 1946 ed il 1958. Con l’avvento del tecnico di Amsterdam, i lancieri si affermarono come una delle squadre più forti dell’epoca: tra il 1965 ed il 1973, l’Ajax vinse sei titoli nazionali, quattro Coppe d’Olanda, tre Coppe dei Campioni consecutive (contro Panathinaikos, Inter e Juventus) perdendo una finale (nel 1969 contro il Milan), oltre a vincere una Supercoppa europea (nel 1973 contro il Milan) e la Coppa Intercontinentale nel settembre 1972 contro l’Independiente di Avellaneda.

Cruijff era il talento più cristallino di quella squadra, nonché il capitano ed il totem. Johan Cruijff, capello lungo e piedi fatati, era amato da tutti e grazie alle sue giocate entrò nell’immaginario collettivo come il “Pelé bianco”.

Schierato politicamente a sinistra, nell’estate 1973, con l’apertura delle frontiere spagnole, lo volle assolutamente il Real Madrid, squadra di cui faceva il tifoso il caudillo Francisco Franco. Cruijff declinò l’invito e si accasò tra gli acerrimi rivali del Barcellona: al dittatore spagnolo non riuscì lo sgarbo che fece nel 1953 con Alfredo di Stefano, che fece invece il percorso inverso. Il giocatore si disse anche voleva mantenere la promessa fatta all’allora presidente Agustí Montal e divenne blaugrana per un miliardo dell’epoca, una cifra folle. Come folle su l’importo dell’assicurazione pagata dai Lloyd’s per tutelare le sue gambe. Passò in blaugrana dopo non essere stato confermato capitano dell’Ajax.

Con i catalani, Cruijff perse la “14” in favore della “9”, ma la classe non gli mancò. Non era capitato nel miglior Barcellona della storia, anche se nelle sue stagioni in Catalogna, l’olandese fece molto bene, tanto da conquistare anche il secondo ed il terzo Pallone d’oro (nel 1973 e nel 1974, il primo lo vinse nel 1971): bisognerà aspettare il 1985 ed il 1992 (con Platini e van Basten) per vedere qualcuno che lo eguagliasse ed il 2012 (con Messi) affinché qualcuno lo superasse. Con lui in squadra, il Barça tornò alla vittoria nella Liga dopo quattordici stagioni.

Johan Cruijff a Barcellona ritrovò il mentore Michels, ma trovò sulla sua strada anche Hennes Weisweiler: tra lui e il tecnico tedesco non corse mai buon sangue. Nonostante il ritorno di Michels, Montal perse le elezioni e Cruijff, non potendo più contare sul suo angelo custode, decise di lasciare la Spagna per giocare nella NASL, dove rimase per due anni con la breve parentesi nel Levante. Giocò ancora due anni nell’Ajax e dopo un’altra stagione con il Feyenoord, nel 1984, si ritirò. Divenne poi allenatore dello stesso Ajax e del Barcellona dream team con cui vinse una Coppe delle Coppe (un’altra la vinse con gli olandesi), la Coppa dei Campioni e la Supercoppa europea nel 1992.

Ma è in Nazionale che Cruijff toccò l’apice della sua carriera. Capitano dal 1971, Cruijff era il giocatore più forte in un contesto di giocatori molto forti. Nel Mondiale 1974 il numero 14 classe 1947 deliziò il calcio con la Cruijff turn, una finta-dribbling ubriacante sul difensore svedese Jan Olsson, ancora oggi ammirata.

Nel 1978 Cruijff accompagnò (calcisticamente) l’Olanda in Argentina, ma non partecipò al Mondiale in quanto si era ritirato dalla Nazionale alla fine del 1977. I motivi? Molteplici: mancanza di stimoli, problemi personali, il regime autoritario argentino.

Ala e centravanti nello stesso momento, ma anche rifinitore e regista, Cruijff aveva un’intelligenza calcistica come nessun altro, oltre ad una velocità impressionante. Elegante e completo, è stato un giocatore moderno, mai banale, mai sopra le righe, un simbolo indiscusso che ha avuto un solo, pessimo, vizio, il fumo.

Ma per tutti i tifosi italiani, Johan Cruijff è stato “Il profeta del gol”, dal nome del documentario che Sandro Ciotti realizzò nel 1976 quando l’olandese vestiva blaugrana.

 

I giocatori principali di un’Olanda leggendaria

Una squadra leggendaria quella Olanda del 1974, l’”Arancia meccanica” del calcio. Innanzitutto come si è visto con Cruijff venne superato il concetto di numero di maglia: ai tempi ogni ruolo aveva un numero di maglia specifico e non c’erano i cognomi. Michels rivoluzionò il tutto, assegnando i numeri in ordine alfabeto, salvo per il “profeta del gol” che aveva la sua “14”.

Il portiere di quell’Olanda era un personaggio particolare, Jan Jongbloed: 34 anni, il più vecchio della rosa, unico non professionista, titolare di una tabaccheria ad Amsterdam e amante della pesca. In carriera non si era mai dimostrato un portiere fenomenale eppure il fatto di essere nel complesso buono con i piedi ed il fatto di essere esterno alle diatribe di spogliatoio, fece si che gli si aprissero le porte della Nazionale dopo una fugace apparizione oltre dieci anni prima. Il motivo fu il fatto che Cruijff non volle in Nazionale l’estremo difensore del Psv Eindhoven, Jan van Beveren, portiere molto concreto, esperto per l’età che aveva e per la grinta che metteva in campo.

In difesa l’Olanda contava su quattro difensori molto forti: Suurbier e Krol sulle fasce ed in mezzo il libero Haan e lo stopper Rijsbergen.

Se la difesa era efficace, il centrocampo del calcio totale olandese raggiunse cime mai viste per quei tempi: classe, piedi fini, intelligenza tattica e tanta garra. I tre interpreti classici furono Neeskens, Jansen e van Hanegem. Ma è il centrocampista di Heemstede che era il tuttofare in quella squadra: mediano, ala, centrale, trequartista con il vizio del gol. Se Cruijff era il cavaliere, Neeskens era il suo scudiero.

E davanti la musica si faceva ancora più intensa con Rensenbrink e Rep, gente che segnava e faceva segnare. In puro stile calcio totale. L’altro attaccante era Cruijff.

Dei ventidue giocatori selezionati da Michels, solo nove non erano delle due grandi di Olanda: Ruud Geels del Club Brugge; Kees van Ierssel e Piet Schrijvers del Twente; il già citato Jan Jongbloed del Football Club Amsterdam; i gemelli René e Willy van de Kerkhof e Pleun Strik del PSV Eindhoven; Johan Cruijff del Barcellona; Rob Rensenbrink dell’Anderlecht.

A parte Ruud Krol, nessun giocatore di quella Nazionale militò nella nostra Serie A (per lui, quattro stagioni con la maglia del Napoli tra la stagione 1980/1981 e la 1983/1984, diventando il primo giocatore straniero dei partenopei dopo l’apertura delle frontiere).

Cosa rimane oggi di quella Nazionale?

Il mito della Nazionale olandese si interruppe in due finali mondiali, a Monaco di Baviera e a Buenos Aires. Dopo di allora bisognerà aspettare la vittoria sull’URSS nella finale dell’Europeo del 1988. Ironia della sorte, la vittoria andò agli orange di Michels dove la sua Olanda quattordici anni prima si arrese a Beckenbauer e soci, nello stesso stadio di allora. Leader di quella squadra era un attaccante di Utrecht che si era messo in mostra con la maglia dell’Ajax che debuttò con gli aiacidi prendendo il posto di Cruijff (nel vero senso della parola), tornato ad Amsterdam dopo la parentesi americana. Van Basten vinse la classifica marcatori di quel torneo e nel 1992 vinse il terzo Pallone d’oro, come Cruijff.

Tornando alla fantastica Olanda del 1974, sono due gli aggettivi che l’hanno contraddistinta: antesignana e utopica. “Antesignana” perché dopo l’esperienza tedesca il calcio di Michels è stato analizzato e cercato di essere portato avanti da altri allenatori. L’erede del calcio totale può essere considerato il Barcellona di Josep Guardiola (2008-2012) con il suo tiki-taka, un modello di gioco filosofico ed efficace che ebbe in due giocatori i suoi fulcri, come erano Neeskens e Cruijff: Xavi e Lionel Messi. Quel Barcellona vinse otto trofei nazionali e otto internazionali, realizzando nel 2009 il quinto triplete della storia del calcio. Il tiki-taka è considerato un “calcio-totale 2.0” per il fatto che il gioco non era frenetico, piatto, ma preciso e con la palla a terra che passava da un giocatore all’altro senza che finisse ai piedi dell’avversario.

“Utopica” perché quella bellissima Olanda vinse nulla, se non fermarsi ad un passo dal sogno due volte in quattro anni (cosa poi successa ancora nel 2010, perdendo in finale contro la più forte Spagna della storia e piena zeppa di giocatori del Barcellona tiki-takiano).

Eppure l’”Arancia meccanica” olandese nonostante non possa mostrare al Mondo trofei, ha segnato un’epoca, è stata studiata e copiata nei decenni successivi.

Alla faccia di chi ha vinto tutto finendo poi nel dimenticatoio del calcio mondiale nonostante tutto.

La rosa della Nazionale olandese al campionato del Mondo di Germania 1974:

Portieri: Jan Jongbloed, Piet Schrijvers, Eddy Treijtel;

Difensori: Kees van Ierssel, Rinus Israël, Ruud Krol, Wim Rijsbergen, Pleun Strik,Wim Suurbier, Harry Vos;

Centrocampisti: Arie Haan, Willem van Hanegem, Wim Jansen, Theo de Jong, René van de Kerkhof, Willy van de Kerkhof, Johan Neeskens, Johan Cruijff;

Attaccanti: Ruud Geels, Piet Keizer, Rob Rensenbrink, Johnny Rep

 

*praticando il “calcio totale”, la rosa è stilata in base ai ruoli naturali dei giocatori