Derby della Madonnina e il Milan degli invincibili

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Capello

Il Milan di Capello, quello degli invincibili e il derby della Madonnina

Quando Galliani irruppe in campo, in un “Vélodrome” semibuio, il Milan era sotto di una rete contro l’OM di Bernard Tapie, il “Berlusconi” di Francia. Era una squadra ormai allo sbando, fuori dal discorso scudetto e con uno spogliatoio ormai logorato da 4 anni di sacchismo.

Quell’interruzione che ebbe del clamoroso, e del grottesco anche, pose fine al ciclo vincente di una squadra che, per un biennio, dominò la scena mondiale, centrando due Grandi Slam, e soprattutto creando nuove frontiere nell’interpretazione del gioco.

Ma ormai il ciclo era giunto al suo culmine, con un Van Basten in rottta col tecnico, e una squadra totalmente da rifondare. La squalifica (unita allo 0-3 a tavolino) comminatagli dall’Uefa risultò una mazzata per un club a forte vocazione europeista come il Milan. Ma da lì, a fari spenti, si potè solo ripartire. E la soluzione, Berlusconi e Galliani la trovarono fra le rassicuranti mura della Finivest. Già 4 anni prima, quando venne defenestrato Liedholm, gli venne affidato il primo Milan berlusconiano, quello degli elicotteri e di Wagner, che rischiava di terminare fuori dall’Europa. Centrò invece un insperato quinto posto, battendo poi la lanciatissima Samp nello spareggio Uefa di Torino, grazie a un gol di Daniele Massaro. Poi, il protagonista della nostra storia continuò a lavorare nell’azienda di casa per altri quattro anni, facendosi apprezzare come innovativa seconda voce, quando in quel periodo le telecronache erano per larga parte dei soliloqui.

Quel Milan necessitava di un’opera di disintossicazione, soprattutto mentale, dai dettami avvolgenti ma anche fortemente condizionanti di Arrigo Sacchi. A quei giocatori non serviva un maestro di calcio, ma un compagno di lavoro che li liberasse dalle pastoie mentali che avevano logorato il gruppo in quell’ultima stagione con il profeta di Fusignano alla guida.

Nacque una squadra nuova, non negli interpreti (Albertini a parte…), ma nella leggerezza con cui giocava a calcio. Senza tradire il suo passato, ma dando l’idea di divertirsi di più. Non è un caso che Van Basten, che aveva minacciato addirittura di andarsene l’anno prima, si regalò la migliore stagione della sua carriera, gettando le basi del terzo Pallone d’Oro, eguagliando il suo maestro Johan Cruyff.

Il Milan degli Invincibili di fatto uccise il campionato 91/92, chiudendo la sua campagna senza sconfitte e sfiorando il primato dei 58 punti della stratosferica Inter del Trap. Nel suo percorso, i due punti che di fatto posero fine al discorso scudetto, li ottenne nel derby di ritorno. L’Inter, orfana del tecnico di Cusano Milanino, tornato alla Juve, dopo il fallimento di Orrico e della zona, venne affidato a Luisito Suarez, meraviglioso in campo quanto mediocre in panchina. Era una squadra ormai slegata, alla fine di un ciclo, in fase di smobilitazione. Ma restava il derby di ritorno, per dare un senso ad una stagione balorda, caratterizzata dai capricci di Matthaus e dagli errori sottoporta di un Klinsmann irriconoscibile.

Il Milan, come da pronostico, dominò l’incontro, concretizzando la sua netta superiorità nel finale; a togliere le castagne dal fuoco ancora lui, di nome Massaro, per tutti ormai Provvidenza. Come un falco raccoglie un cross proveniente da destra, brucia il suo diretto marcatore e infila Zenga di testa sul primo palo. San Siro esplode, Massaro corre all’impazzata, perchè sa di aver dato uno scrollone definitivo al campionato. E’ forse il gol più importante della stagione, quello della rinascita di un gruppo pronto a imbarcarsi per nuove conquiste. Capello dà il via alla sua epopea come allenatore con quell’exploit inatteso, e quindi ancor più bello.